Al delta del tempo e del fiume

Grande fiume senza cuore, Giulio Pedani
(effequ, 2022)

Sulla riva di un fiume grande, così grande che si chiama Gigante, crescono alberi, animali, città e persone. Il Gigante è più antico delle parole e del tempo; anzi, forse è lui il tempo, è lui le parole, perché scandisce la vita di tutto quello che gli sta intorno. Il Gigante non sarà il Gange, ma condivide un po’ della sua sacralità, un po’ della sua onniscienza.

Ci troviamo nella pianura padana, in quella zona umida ed erbosa dove attorno alle rive dei fiumi gli acquitrini si raccolgono in paludi. Negli spiazzi più verdi sorgono casolari rustici che evocano un passato così vicino che lo si può toccare con le dita. Il Gigante divide la piana e conta attorno a sé affluenti e insediamenti umani come un patriarca con i propri discendenti: il Paese Giallo, il Fiume Bianco, il Delta.

Nei venticinque anni coperti dall’arco narrativo si snodano e si intrecciano le vite di chi abita attorno al Gigante, lo osserva e lo ascolta. Apre la parata il Regio, burbero pescatore nelle cui vene scorre acqua di fiume più che sangue, alla ricerca di una pace e un’appartenenza che forse non vuole davvero.

Poco lontano dal fiume si muove Altea, quieta ma brillante, riservata ma coraggiosa, animata da una fame di conoscenza che poco ha a che fare con un sapere sterile, e molto con i cicli naturali: è curiosa, e la curiosità la spinge a voler esplorare tutto, a osservare con uguale interesse la brutalità della macellazione in fattoria e lo scorrere sempre uguale del fiume, del tempo, delle relazioni umane che non sempre capisce.

È così atipico, questo suo modo di guardare il mondo, che la nota persino il suo vicino Miro: alieno in un mondo di umani che non capisce e che non lo capiscono, egualmente affamato senza però ben sapere di cosa:

Miro sapeva per certo di non essere come loro, ma da queste traversie interiori riaffiorava solo più debole. ammesso che la sua intelligenza percettiva esistesse, certo non lo aiutava a emergere, anzi era solo una zavorra.1

Li accompagna, simile a una bestia serafica e silenziosa, il Muto: non spiccica parola, ma fa del suo corpo uno strumento di vita e di lavoro. Uno che insomma è born for labour, not for love, per dirla alla Charlotte Brontë.

Pedani dispone queste sagome sul tavolo come dei tarocchi, li mescola e li sovrappone, e si ferma a studiarli per capire come reagiscono quando li combina fra loro. La sua capacità di lasciarli crescere in maniera graduale rende assolutamente credibili le diverse personalità che tutti abbiamo quando gli anni ci si accumulano sulle spalle – alcuni ideali ci abbandonano, e altri germogliano; troviamo nuove case, levighiamo alcune delle nostre asperità, ma ci facciamo più duri e appuntiti su altri lati. Forse ci accorgiamo che ci manca il suono del fiume che sentivamo scorrere dietro casa da piccoli, e ci mettiamo in cammino per ritrovarlo.

La lente di Pedani è delicata e sapiente: la scrittura è trasparente, leggera, la mano dell’autore è sicura ma si intravede appena (curiosamente simile, in questa trasparenza, a quell’acqua dolce così importante nel romanzo).

In Grande fiume senza cuore trovano spazio tante tematiche attuali, talvolta appena accennate: la voglia di rivoltarsi contro i padri ma anche di farci la pace, le angosce sul futuro, una forma tutta regionale e quasi intima di ecoansia e, come in tutte le storie più vive, la rivolta.

Non tutto è approfondito, o srotolato dall’inizio alla fine di modo che se ne possa distinguere il corso, ma va bene così: questa storia è un fiume che scorre a una velocità che è la sua, non la nostra, e non avrebbe senso cercare di afferrarla come si fa con la materia solida e pesante. È una storia delicata ma dirompente nella sua fluidità, nella sua trasparenza autentica. Non c’è idealizzazione, ma nemmeno catastrofismo: solo la mutevolezza cristallina della realtà.

Le vicende di Altea, del Muto e di Miro ricalcano su una scala più piccola quello che succede a tutte le terre vergini nel momento in cui ci si dimentica della loro preziosità. Il contatto con una realtà più globalizzata, basata su una ricchezza immediata e materiale, può essere letale per un organismo (sociale o naturale) molto antico.

Tra coloro che assistono a questi processi, alcuni avvertono che qualcosa sta finendo per sempre, altri no; delle piccole rinascite sono sempre possibili, ma chi siamo noi per sapere davvero se qualcosa può essere salvato o no?

Emma Cori

1 Grande fiume senza cuore, p. 62.

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