Arca di Noè, Gianna Manzini
(Rina Edizioni)
Tutte le persone che scrivono sono infestate da temi ricorrenti, immagini ed epifanie che si insinuano quasi inevitabilmente nelle trame e le fanno aderire ad uno schema che si ripete. Imparare a gestire queste incursioni è il primo lavoro degli scrittori, ma ci sono alcune passioni che non possono essere limitate, pena l’identità letteraria stessa di un autore. Per Gianna Manzini, questo succede con gli animali.
Lo ammette lei stessa nella prefazione al suo primo bestiario, la raccolta Animali sacri e profani (1953), seguita nel 1960 da Arca di Noè. Con quest’ultimo titolo è tornata in libreria per Rina Edizioni una selezione degli scritti manziniani con protagonisti animali: i racconti di Arca di Noè sono preceduti dalla prefazione di Animali sacri e profani e seguiti da alcuni scritti del primo bestiario.
L’ossessione per il regno animale attraversa infatti tutta la lunga carriera letteraria di Manzini, fin dagli esordi con la rivista Solaria negli Anni Trenta: a questo periodo risalgono il racconto Il falco e Un pesce falso tra pesci veri, originariamente pubblicato con il titolo Giocattolo. E la vastità di questa produzione la rende anche incredibilmente variegata: i racconti partono da ricordi, paesaggi, dettagli, rappresentazioni artistiche e persino divagazioni gastronomiche.
In comune a tutti gli scritti c’è il decentramento dell’umano, messo a lato dal protagonismo degli animali. Più che antropomorfizzare le bestie, Manzini sembra suggerire che siano le persone a dover cercare punti di contatto con gli animali; ne studia le tribolazioni, le gioie e le abitudini per cercare un senso della vita che possa parlare anche al genere umano. Non ci sono morali da imparare, solo la rivelazione che, in un mondo in cui gli umani non sono protagonisti assoluti, conoscersi e guardarsi tra specie è una necessità oltre che una scelta.
Manzini racchiude i suoi animali in un mistero difficilmente accessibile: le emozioni negative che suscitano sono legate agli umani che li governano e alle attività a cui li costringono. È il caso della civetta protagonista del racconto omonimo, ricordo agrodolce del padre che sarebbe stato protagonista di Ritratto in piedi, il romanzo che è valso alla scrittrice il Premio Campiello nel 1975; ma anche del Falco, che diventa il simbolo di una spietata amicizia infantile: «Se insistevo a guardarlo, la compassione diventava sofferenza, mentre le dita avvertivano un improvviso ribrezzo per tutti gli oggetti, quasi fossero sbucciate.»
Le bestie suscitano negli umani una gamma vastissima di emozioni: incuriosiscono, insospettiscono, affascinano, impietosiscono, e spesso incattiviscono. Lo sguardo dell’autrice, tuttavia, si mantiene sempre empatico e rispettoso nei confronti dell’altra specie. In nessun punto la compassione viene considerata un pretesto per avanzare diritti e dominio sul mondo animale; il tentativo è sempre quello di capire insieme all’altro, cambiare occhi per osservare una verità nascosta alla natura umana.
Questo approccio si rivela nei racconti che rimuovono gli umani da un concordato ruolo centrale e si concentrano invece negli animali comprimari. Ne Il sangue del leone, il motivo iconografico di San Girolamo che rimuove la spina dalla zampa del leone viene rivisitato dal punto di vista del leone, mentre Il cavallo di San Paolo racconta come, per la bestia, la celebre illuminazione sulla via di Damasco «fu tutta un’altra cosa». Nel Il bove dell’Aida, invece, la rappresentazione dell’opera lirica viene vissuta attraverso l’ansia e lo spavento del bove di scena, emozioni tanto diverse da quelle umane eppure tanto comprensibili.
Tutti i racconti sono attraversati dall’antica ricerca di un’innocenza e di una pace perdute, che nel caso di Manzini si identificano con l’infanzia, un mondo perduto dove la crudeltà e il candore sembrano poter convivere senza conflitto d’interesse e che costituisce una inesauribile fonte di materiale letterario.
I bestiari di Manzini furono apprezzati, tra gli altri, da Pier Paolo Pasolini, che in una recensione entusiasta a Animali sacri e profani scrive: «Siamo […] di fronte a dei poemetti in prosa; o a una prosa veramente poetica non poetizzata. […] poesia degli oggetti in qualche modo caricati di sentimento […] emozione.» E infatti la prosa di Manzini in questi scritti crea uno spazio in cui a ogni dettaglio corrisponde un’emozione, evocata con un lessico accurato e mai banale.
E d’altra parte questa scrittura «complicata e un po’ abbagliante», come la definì Emilio Cecchi dopo il suo esordio, è la cifra stilistica più elegante di una scrittrice che ha segnato il nostro Novecento, e che finalmente comincia a tornare sugli scaffali delle librerie.
Loreta Minutilli
Immagine in evidenza: The Garden of Earthly Delights, central panel, Hieronymus Bosch. (immagine di dominio pubblico)

