Il cuore dell’uragano, Alfredo Palomba
(Bompiani, 2024)
Accade spesso di incontrare sul proprio cammino persone che – nel momento in cui apprendono che il loro interlocutore è un insegnante – si sentono in dovere di presentare la loro teoria su come risolvere i problemi che da decenni gravano sulla scuola italiana. I discorsi di questi figuri sono pressoché tutti uguali, iniziano con un rassicurante: “Il problema della scuola è questo: (segue qualsiasi affermazione del tutto indimostrabile)”. Parafrasando una celebre frase di Truffaut, sembra proprio che tutti abbiano due lavori: il proprio e quello di Ministro dell’Istruzione[1].
Ne Il cuore dell’uragano (Bompiani, 2024), lo scrittore e insegnante Alfredo Palomba mette in guardia da tali imbonitori:
‹‹Non credete mai a nessuno che dichiari di sapere come “risolvere i problemi della scuola”. Dentro la scuola non ci sono stati, se non da alunni. (…) I problemi non si risolvono, ci saranno sempre. La scuola non la puoi raddrizzare, perché è un ambiente dove la gente cresce e si forma, e la crescita e la formazione sono dolorose (…)››[2]
Il libro di Palomba è un diario più o meno sistematico che racconta la scuola dal punto di vista di chi la vive giorno dopo giorno, faticosamente, come se si trovasse all’interno di un vero e proprio uragano. È questa l’immagine che rappresenta nel migliore dei modi cos’è la scuola di oggi: non un luogo omogeneo e circoscrivibile da un solo sguardo, ma piuttosto un campo di forze, con spinte spesso opposte che possono condurre chi le subisce a soccombere. Dal momento che non esiste una soluzione univoca per uscire da questo gorgo, ciò che resta per Palomba è scrivere, mappare l’uragano per cercarne dei punti di riferimento.
Il rischio di smarrirsi, di naufragare, sembra essere connaturato al lavoro dell’insegnante, che è ‹‹un mestiere complicato e spesso evanescente, fumoso, fatto di cadute e ricostruzioni››[3]. Essere docenti significa non poter avere mai totalmente il controllo del proprio lavoro, il cui esito dipende in maniera essenziale da un altro individuo, per giunta in fase di crescita e spesso sfuggente, che nella maggior parte dei casi non è poi così d’accordo sugli obiettivi che sono stati predisposti per lui. L’insegnante è quindi destinato a vivere una condizione di frustrazione in quanto sempre disallineato rispetto alle proprie aspettative, quotidianamente alle prese con imprevisti a cui deve rispondere con decisioni immediate. Proprio per queste ragioni, la scuola è “in gran parte una questione di controllo”: richiede la capacità di essere vigili e ricettivi rispetto a ciò che accade.
Palomba rileva come questa capacità non sia sempre presente tra i docenti: nel libro sfilano figure fantasmatiche di insegnanti mal riusciti come il docente di sostegno “da sostenere” Michele Bozzi, la fragile Maria Benassi, o il giovane ma già piuttosto esaurito Costanzo Dodaro. Da questi modelli negativi la voce narrante si sente lontana, ma al tempo stesso teme terribilmente di finire per somigliare ad essi, cioè di soccombere dietro al proprio ruolo, di anestetizzarsi rispetto alla realtà. Insomma, di essere travolto dall’uragano.
Qual è dunque la ricetta per sopravvivere a questo caos perfetto? Le “soluzioni” di Palomba fanno riferimento non ai massimi sistemi, ma piuttosto alla dimensione dell’estremamente piccolo, dell’agire concreto nella relazione con i ragazzi. Esse si riassumono in due parole: serietà e cura. Cosa significa essere docenti seri? In un mondo in cui prevale la relazione orizzontale, in cui è richiesto al docente di essere piuttosto un mediatore e facilitatore, occorre divenire un riferimento il più solido possibile per gli studenti, dare cioè loro un modello che gli permetta di orientarli e spingerli verso il cambiamento. Essere seri significa muoversi funambolicamente – con leggerezza – in quella zona di confine tra ciò che lo studente è e ciò che invece può essere, tra un presente confuso e un futuro spesso nemmeno intravedibile.
La cura è invece intesa in senso heideggeriano come postura, quell’originaria apertura che permette di essere attenti nei confronti dell’altro che è di fronte a noi. Insomma: ciò che gli studenti richiedono agli adulti è di Esser-ci. Non è un caso che il libro si chiuda con un capitolo intitolato “Siamo tutti qui”, nel quale si racconta l’alluvione in Emilia del maggio 2023, quando Palomba e i suoi studenti si armano di pala e cercano di ripulire le case dal fango.
L’Emilia del disastro ricorda molto da vicino la situazione da eterna emergenza in cui versa negli ultimi decenni una scuola che annaspa, sempre sul punto di affondare. Ripulire – metaforicamente, ma neanche troppo – la scuola dal fango significa quindi svelarne il “nucleo imprescindibile” di umanità ‹‹senza il quale ci facciamo portatori soltanto di dati sterili e ritualità inerte, vuota››[4], ovvero scoprire che dietro i muri di carte e di moduli, di relazioni, programmazioni e progetti si nasconde un territorio fertilissimo, quello spazio in cui si muovono incerte le vite di coloro che ancora non sanno cosa diventare.
Giacomo De Rinaldis
[1] La frase originale recitava: “Tutti hanno due lavori: il proprio e quello di critico cinematografico”.
[2] pp. 173-174.
[3] p. 59.
[4] p. 296
Immagine in evidenza di NEOSiAM 2024+ da Pixabay

Ho fatto l’insegnante per una vita, ed è proprio vero: in gran parte è una questione di controllo. A qualcuno riesce facile, per altri è impossibile, per la maggior parte è una conquista cui si arriva dopo molta gavetta, ed è nello stesso tempo una condanna, perché chi di noi non avrebbe desiderato entrare in classe rilassato, relazionarsi serenamente con i ragazzi, non avere l’impegno e l’assillo di dover “tenere la classe”…
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