L’ultima stagione di Positano

La stagione, Marco Raio
(Bompiani, 2025) 

La stagione, romanzo di esordio di Marco Raio, è ambientato a Positano, luogo in cui il protagonista Tommaso si reca ogni estate con la famiglia per trascorrere le vacanze. Quella che viene raccontata è una stagione, una sola estate: l’ultima nella casa di Positano, che la nonna ha deciso di non tenere più in affitto. In questo senso, la stagione raccontata segna anche la chiusura di un ciclo nella vita di Tommaso, fermo in un’adolescenza che avrebbe già dovuto superare. Anche la madre Viviana e il padre Bruno vivono Positano come un rifugio, e la frequentano da così tanto tempo da conoscerne a memoria la geografia e i personaggi che la popolano.

La famiglia di Tommaso è una famiglia napoletana in bilico tra la media e l’alta borghesia, la tipica famiglia in cui le nevrosi incidono sulle azioni e sulle idee più di quanto non lo faccia lo status economico-sociale: il padre, professore universitario che vive in preda alla paura di allontanarsi da casa, la madre assoggettata dalle paure del marito e dalla vecchiaia della nonna di Tommaso, e anche il protagonista, che – come molti protagonisti del romanzo modernista – vive ancora nell’incapacità di trovare una strada fuori dal nucleo famigliare, non essendo in grado, per inettitudine, di superare quegli ostacoli fondamentali al passaggio all’età adulta: il duplice banco di prova del lavoro e dell’amore.

La stagione di Marco Raio poteva funzionare sia come romanzo di matrice modernista che come romanzo di formazione, essendo gli elementi precedentemente elencati tipici dell’uno o dell’altro, ma finisce per incanalarsi piuttosto nel solco del romanzo “borghese”, con l’alternanza di esaltazione e lamento di tale classe sociale.

Lo stile dell’autore troppo spesso procede per asindeto, e ogni piccolo evento viene presentato tramite agglomerati lunghissimi di coordinate, come si può evincere dal passo seguente: 

«Avevo sottratto un avvenimento alla mia vita. Negando il mio assenso ero intervenuto sulla piega degli eventi. Li avevo forzati, deformati, per continuare a mantenermi saldo, misurato, prudente. Il mare notturno avrebbe continuato a essere quello che era prima di Annarosa, un manto nero dalle ignote profondità, la cortina dell’isteria degli adolescenti, degli slanci non espliciti di sessualità che vedevo affiorare nei miei amici quando dopo una pizza sulla spiaggia si lanciavano tutti nell’acqua nera, lo spazio degli inseguimenti e dei fugaci contatti dei corpi durante i tentativi d’affogamento, le zuffe, le prese sulle spalle, sfocate scie di colore da cui mi tenevo lontano, pur immerso in quello stesso elemento.» (p. 143).

La ricerca continua di picchi di patetismo genera poi un effetto opposto, allontanando il lettore dall’immediatezza del momento e delle sensazioni provate, portandolo a subire anziché a partecipare agli eventi narrati. L’accumulo di periodi rende difficile l’immedesimazione con il protagonista, perché i suoi pensieri risultano troppo meditati, scritti e risistemati a posteriori. 

Dal punto di vista della costruzione dei personaggi e degli eventi l’autore fa un uso a volte troppo marcato di stereotipi, e anche la ricostruzione di Positano quale ambiente mitico e atemporale presenta delle problematicità: siamo distanti dalla costruzione epica delle Langhe di Fenoglio e Pavese, e l’autore sembra voler convincere il lettore che Positano sia un luogo mitologico, senza mai riuscire a illustrarlo come tale, risultando quindi una forzatura.

La stagione è un’occasione mancata: il presupposto  è sicuramente interessante, ma richiama alla mente troppe esperienze di scrittura del secondo novecento, e risulta un’opera derivativa rispetto ai modelli di riferimento da cui attinge.

Enrico Bormida

Immagine in evidenza: Paul Gauguin, Fatata te Miti (By the sea), National Gallery of Art, Washington D.C., public domain..

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