Per il quinto anno di fila siamo stati al Salone del Libro di Torino e per il quinto anno di fila abbiamo fatto code interminabili, pranzato a gambe incrociate sulla moquette, vagato per ore con una borsa pesantissima in spalla e passato interminabili momenti di indecisione davanti a libri super interessanti ma dal prezzo improponibile.
Quando si vive un’esperienza a cadenza annuale il regolare ripetersi delle tappe e dei momenti degli anni precedenti, solo con una storia di vita più lunga alle spalle, ha qualcosa di rassicurante e malinconico insieme. Quest’anno, però, a questa cadenzata dolcezza si è aggiunta una gran quantità di novità che ci hanno dimostrato che certe esperienze sono troppo speciali per smettere mai di stupire.
Siamo stati al Salone venerdì 17 e sabato 18 maggio, e ci siamo andati con trepidazione: dopo la bufera scoppiata per il tentato spostamento a Milano, avevamo una certa paura che questo fosse il nostro ultimo Salone a Torino. La fila per i controlli e soprattutto l’atmosfera di leggerezza e allegria che si respirava nel Lingotto ci hanno però smentiti fin da subito: i padiglioni ci sono apparsi più ariosi, leggeri e ricchi di simpatiche novità come la Piazza dei Lettori e l’entusiasmo dell’enorme quantità di visitatori ci ha rassicurati sul fatto che la magia del Salone di Torino non è affatto facile da spezzare.
Certo, c’è stato qualche rimpianto per le ore di solito spese al magnifico stand Adelphi, tra i grandi assenti di quest’edizione, ma l’assenza dei grandi espositori ci ha consentito di spendere più tempo agli stand di case editrici che forse in altre occasioni non avremmo notato: è il caso della già citata O barra O ma anche della SUR.
Come sempre, poi, ma forse in maniera ancora più decisa in questa edizione, il Salone del Libro non è dedicato solo ai libri in senso stretto: ci si trovano televisione, fumetti, registi, giochi da tavola, esperti di calligrafia e qualunque cosa abbia a che fare con la cultura e l’arte di raccontare storie, capirsi, comprendersi e migliorarsi.
Il programma degli incontri, poi, è stato ricco e traboccante come ogni anno e selezionare solo alcuni incontri a cui partecipare per evitare di togliere troppo tempo alla scoperta degli espositori è stata un’ardua impresa. Alla fine, abbiamo concentrato le conferenze nella giornata di venerdì e sabato, a parte un tentativo fallito di assistere alla presentazione del libro di Annie Ernaux a causa della troppa fila, abbiamo vagato liberamente tra uno stand e l’altro.
Alle 11.30, nel Caffè Letterario, abbiamo assistito alla presentazione del libro 21 donne all’assemblea, di Grazia Gotti, edito da Giunti, incentrato sulle figure delle 21 donne che hanno partecipato, insieme a più di 500 uomini, all’Assemblea Costituente. Con l’autrice ha dialogato Lidia Ravera e insieme hanno guidato il pubblico alla scoperta di un gruppo di donne eterogeneo per età, schieramento politico e classe sociale. A partire dalla lettura un toccante passo di Angela Guidi Cingolani si è avviato un acceso dibattito sul ruolo delle donne in politica ieri e oggi e sull’importanza dell’insegnamento, professione da cui molte delle 21 costituenti sono partite e alla quale molte, deluse della politica e dalle strumentalizzazioni dei partiti, sono tornate.
Egualmente incentrata sulla questione femminile, ma da una prospettiva geograficamente molto più distante, è stata la presentazione del libro La jihad delle donne di Luciana Capretti, edito da Salerno Edizioni, che si è svolta alle 15 in Sala Blu. Il tema del libro è interessante quanto insolito: si tratta infatti di una indagine sulle Imame, donne di cultura che, dopo un’attenta analisi linguistica e filologica del Corano, hanno deciso di combattere le secolari discriminazioni di cui il loro sesso è vittima nei paesi a maggioranza islamica assumendo un ruolo che per secoli è stato riservato agli uomini e mostrando come il maschilismo tradizionalmente associato all’Islam non sia che il frutto di una cattiva interpretazione del testo sacro. L’autrice è stata coadiuvata dall’attrice Monica Guerritore e dalla scrittrice Farian Sabahi, che ha spiegato con efficacia e chiarezza come fosse inevitabile che un simile processo iniziasse nei paesi occidentali ad opera di musulmane mezzosangue, impregnate fin dalla nascita di cosmopolitismo. Nei Paesi a maggioranza islamica questo traguardo è ancora lontano e le donne lottano per diritti ancora più basilari, ma l’incontro si è concluso con l’augurio che movimenti di questo genere, che finora hanno avuto luogo prevalentemente negli USA e nel nord Europa, possano essere d’esempio in altri Paesi occidentali e non e diano nuova linfa al femminismo islamico, svincolandolo da futili questioni come quella sul velo.
Molto interessante anche l’incontro svoltosi alle 15.30 in Sala Azzurra con Yasmina Reza, importante drammaturga e scrittrice francese che presentava il suo ultimo romanzo, Babilonia, per Adelphi. Ma l’attenzione, più che sul libro, è stata tutta rivolta alla personalità molto particolare di Reza, restia da sempre a comparire in pubblico e a partecipare a presentazioni dei suoi libri, tant’è che chiede ai presenti di non fare foto. “Chi pensate di ascoltare?” ha domandato al pubblico con umiltà. “Io penso di non avere nulla da dire. Noi scrittori non siamo saggi. Nella vita quotidiana non siamo migliori di altri, ma al pari di chiunque. Non sono mai stata interessata a conoscere e ascoltare gli scrittori che leggo. Gli scrittori non hanno risposte, hanno domande; non sono intellettuali, sono soggettivi e non imparziali.” E ancora: “Non mi sento autorizzata a spiegare il libro, sarebbe falsità.” E ha proseguito poi con riflessioni sulle immagini, sulla leggerezza, sulla serietà del riso, su come il paesaggio influenza la persone e la scrittura. Ha concluso con un aneddoto curioso: assiste spesso ai processi in tribunale perché sono la metafora della vita e l’aiutano a forgiare i personaggi, tutti ispirati a persone che ha conosciuto.
Infine, dopo più di mezz’ora di fila, siamo riusciti a entrare in Sala Gialla dove è tenuto un vivo dibattito tra Alessandro Baricco e Jan Brokken, in occasione della pubblicazione de Il giardino dei cosacchi. I due scrittori hanno parlato di letteratura e vita, del rapporto di uno scrittore con i suoi lettori, di blocchi dello scrittore e di fonti di ispirazione, mostrando opinioni quasi sempre opposte. Brokken ha descritto la sua passione per la ricerca del dettaglio in una vita umana che la rende degna di essere raccontata, mentre Baricco ha affermato di preferire le storie totalmente inventate a quelle di impianto biografico: “Per fare storie bisogna saper immaginare la realtà”. Brokken ha poi raccontato del suo rapporto con la musica quando scrive, della sua prolificità e dell’incontro rivelatore con Marquez che lo ha spronato a leggere sempre per migliorarsi. “Il mestiere dello scrittore è quello di sbloccare”, ha risposto quando gli è stato chiesto se avesse mai sofferto di blocchi e crisi da pagina bianca.
Anche quest’edizione del Salone, insomma, ci ha fatto tornare a casa carichi non solo di libri freschi di stampa, ma anche di esperienze, emozioni, idee e tanta voglia di ritornarci il prossimo anno. Una tradizione così solida e bella ha dimostrato di non essere in grado di involversi, ma solo di evolversi e noi siamo ben felici di continuare a crescere insieme al Salone del Libro di Torino, anno dopo anno.
giornate belle piene! dal Salone si torna ancora più carichi di entusiasmo…. interessanti gli acquisti e anche gli eventi a cui avete partecipato. mi ha molto incuriosito quello sulle “imame”…. con l’augurio che anche nella cultura islamica le donne riescano ad emanciparsi
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Eh sì, il Salone è sempre tutto fuorché rilassante 🙂 L’incontro sulle imame mi è piaciuto così tanto che alla fine ho comprato il libro, quindi a breve potrei scriverci qualcosina. Spero proprio che questo fenomeno sia una speranza per tutto il mondo islamico.
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Ottimo, allora aspetto la tua recensione perché mi hai incuriosito parecchio 😉
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äh, de kommer ju med nya saker som är dåliga precis hela tiden! Ät och njut i lagom mängd!
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