Autocritica di una accumulatrice di libri

Fra le molte novità della mia nuova vita in una grande città c’è la vicinanza con una enorme biblioteca in cui posso procurarmi praticamente qualsiasi libro mi passi per la testa.

Sono per natura una lettrice polifonica e raramente sul mio comodino ci sono meno di due libri, quindi si può ben immaginare quale nefasto effetto abbia avuto questa improvvisa ricchezza di possibilità sul peso che la mia nuova, piccola libreria è costretta a sopportare.

Da un mese, ormai, passo regolarmente del tempo tra gli scaffali della biblioteca con gli occhi spiritati di chi cerca qualcosa di ignoto e misterioso: mi avvicino agli scaffali di filosofia, leggo velocemente i titoli e scarto tutti gli autori – troppo lungo, troppo impegnativo, troppo breve, già letto. Passo allo scaffale dei classici e all’infinita serie di libri che voglio leggere, ma non è ancora il momento, e poi li ho sempre a disposizione, tanto vale puntare su qualcos’altro. È quindi il turno della letteratura contemporanea, dove generalmente i titoli più interessanti sono sommersi dall’intera bibliografia di autori di gialli che mi intrigano poco e mi ritrovo ben presto a fissare gli scaffali con aria bovina, dimentica di ciò che stavo cercando.

Mi dirigo quindi verso l’uscita della biblioteca, non prima di aver dato uno sguardo al reparto di lingue straniere, stuzzicata dalla possibilità di imparare lo swahili con uno di quei bei manuali in bella vista. L’enorme quantità di libri, insomma, mi stordisce e mi rende incapace di sceglierli come vorrei – ma non di sceglierli del tutto: quando esco, infatti, raramente sulla mia tessera c’è ancora posto per nuovi prestiti e finisco per avere le braccia piene di più volumi di quanti io possa leggere in soli trenta giorni, per lo più sommati a tutti gli altri che ho in casa. Nell’immagine di copertina potete ammirare il bottino della mia ultima incursione.

Ma perché, non importa quanto affollato sia il mio scaffale, sarò sempre assalita dall’impulso di accumulare libri non appena li vedo impilati e appetibili in una biblioteca, in una bancarella o in una libreria? La mia parte più autocritica mi potrebbe accusare di essere una persona superficiale o spendacciona, ma penso che ci sia qualcosa di più profondo nel mio desiderio di essere circondata da libri, anche nel caso di quelli che non mi appartengono e che dovrò restituire presto in biblioteca.

Le storie sono rassicuranti anche prima di essere lette: a volte mi basta guardarmi intorno, vedere i libri che mi circondano e sentirmi tranquilla. Per la stessa ragione esco raramente di casa senza un libro in borsa e poche cose mi angosciano di più della prospettiva di ritrovarmi bloccata in un lungo viaggio in treno senza libri, riviste o niente di leggibile. Mi basta sapere che i libri ci sono, che mi basta allungare una mano per poterli sfogliare, annusare ed esplorare e che se sarò stanca del romanzo russo del mio comodino potrò mettermi in pausa e immergermi in una raccolta di poesie.

E poi, perché, dopotutto, dovrei rinunciare al piacere di vagare tra gli scaffali di una libreria con un libro in mano e dieci tra il gomito e lo sterno, mentre cerco di decidere nel minor tempo possibile cosa è il caso di prendere e cosa dovrei rimettere a posto?

Si potrebbe obiettare che questo consumismo letterario è contrario allo spirito stesso della lettura, qualcuno direbbe addirittura che è impossibile leggere più di un libro alla volta e prestare attenzione a tutti (è una delle principali contese tra me e mia madre su questo tema). E l’assoluta libertà che si accompagna all’atto di leggere permetterà a me e a loro di avere ragione, senza che nessuno debba rinunciare al proprio modo di sentirsi al sicuro tra i libri – o forse è un’altra scusa per continuare a saccheggiare senza rimorso gli scaffali della biblioteca?22790546_10212453997398430_1748411763_o (1)

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