‘O ffuoco a mmare – Raffaele Pisani
(Cuzzolin)
Leggere Raffaele Pisani nel 2018 significa approcciarsi a un genere che non va assolutamente di moda, da parecchi punti di vista e che risulta, dunque, più che affascinante. ‘O ffuoco a mmare è, infatti, non solo una raccolta di componimenti in versi, ma soprattutto un’opera scritta interamente in dialetto e tenuta insieme da una grande parola-chiave: l’amore.
Ciò fa di lui un autore sorprendente, che proprio non si comprende come sia riuscito a sbocciare in un panorama letterario in cui quello di cui si occupa il poeta è osteggiato di continuo dalla critica, dal marketing e da logiche di mercato che puntano a sensazionalismi, novità eclatanti e filoni basati su altre premesse. Pisani è controcorrente, è autentico, è irrequieto – e, per fortuna, è apprezzato da quasi mezzo secolo proprio per le sue caratteristiche tanto differenti dalla massa.
Nella silloge in questione, tre sono le macro-declinazioni del sentimento che contraddistingue la sua scrittura e la sua costante ricerca esistenziale: quella per la sua città natale, quella per sua moglie e quella intesa in senso religioso. Napoli, Francesca e il Signore, intrecciati fra loro e nominati sebbene certe liriche sembrino alludere ad altro, sono descritti con termini vibranti e con accostamenti fonici e concettuali imprevedibili.
Non tanto perché strani, quanto paradossalmente perché quotidiani, delicati, raccolti con precisione da un patrimonio immaginifico collettivo, che tuttavia non diventa mai banale e che riesce a sublimare perfino le esperienze più personali. Ne è un esempio la brevissima Cenetta a Capo Mulini (Acireale):
‘A luna chiena dint’ ‘o cielo blu,
a mare, int’ ‘o silenzio, na lampara,
e tu, goccia d’estate, int’a sti braccia.
Fra queste righe si intuisce già un altro refrain immancabile nella poetica di Pisani: il legame indissolubile con il capoluogo campano della sua infanzia, il quale è da un lato spunto di riflessioni e di nostalgie insanabili, e dall’altro rimane il posto da cui si è deciso di allontanarsi, ambientandosi in terre dalla bellezza altrettanto mozzafiato e da cui si riescono a distinguere per bene le pecche di un popolo che nel frattempo non rende onore al suolo natio. Da qui nascono liriche come Lampadine fulminate, che così si conclude:
[…] V’avvaria vuluto stelle,
comme ‘e stelle ‘e cchiù allumate,
tutte luce d’oro e no
lampadine fulminate!
Un occhio affettuoso, dunque, eppure al tempo stesso deluso e rammaricato all’idea che l’antico splendore di Napoli sia sporcato dalla negligenza e dallo scarso coinvolgimento di chi ci vive. Il medesimo dualismo si ritrova nella concezione della divinità, associata a quella della fede cattolica e nonostante questo chiamato Jahvé in una poesia che riflette la visione di Pisani in quanto credente:
Tu nun te muove e muove tutte ‘e ccose,
Tu non te faje vede’ ma tutto vide,
nun tiene voce ma si’ ‘a sola voce
ca parla e nun ce nganna,
si’ senza tiempo, senza spazio, ma
Tu si’ padrone d’ogni tiempo e spazio,
Tu esiste ‘a sempe e ‘a sempe si’ mistero,
mistero cchiù d’ogni mistero, eppure
Tu si’ l’unica cosa Eterna e Vera!
Un tale vitalismo, unito al desiderio di raccontare la vita per com’è con una scintilla di meraviglia e di accoramento sempre accesa, rende le parole dello scrittore preziose e incantevoli da assaporare: nei loro continui ossimori, evidenti già nel titolo del libro, costituiscono una compagnia irrinunciabile e ricca di dense suggestioni, da centellinare giorno dopo giorno per non sentirsi soli nel proprio percorso esistenziale.
(Eva Luna Mascolino)