L’America rude e aspra di Chris Offutt

Nelle terre di nessuno, Chris Offutt
(Minimum Fax – Trad. Roberto Serrai)

Violenta, brutale, spietata: tale è la periferia americana di Chris Offutt (1958). Uno degli scrittori statunitensi contemporanei più apprezzati in patria, viene adesso tradotto per la prima volta in Italia da Minimum Fax, che pubblicherà la sua intera opera.

Copertina Chris Offutt

Nelle terre di nessuno  è stato il suo esordio nel 1992.
Nove racconti nei quali il vero, costante protagonista è un Kentucky desolato e rude, un coccio rotto di bottiglia, come ben rappresentato dalla bella illustrazione di Patrizio Marini in copertina.
Tra risse, sparatorie, bevute, incontri con bestie nei boschi, umiliazioni e vendette, le storie si susseguono dominate da personaggi sporchi di terra, di sangue e sudore, disillusi, privi ormai di speranza e di pietà, che cadono, si rialzano, si feriscono, sanguino, ma senza mai scomporsi, senza turbarsi, quasi che la tragedia, le sciagure, il peggio siano la normalità, rappresentino l’inevitabile logica degli eventi.

La presenza invadente della morte nel quotidiano non fa rumore né scalpore. Si convive con essa con naturale accettazione.
Quando un suo amico viene accerchiato da un branco di puma e a Jim rimane un solo colpo in canna, spara a lui e dice: “Fatto, adesso andiamo.”
Quando Beth finisce nel fiume con la sua auto, scende da essa, tranquilla, e ritorna a casa a piedi senza dire una parola.
Che un’orso stacchi la testa a una bambina o che un collega rimanga schiacciato sotto le ruote di un bulldozer, tutto si accetta senza scomporsi, senza disperarsi né lamentarsi. Si prova a intervenire, si cerca vendetta, ma restando freddi, lucidi, e se una soluzione non è possibile, si volte le spalle al problema e si va avanti.

“Non si può dare alle colline la colpa per quel che ci succede in cima. Qualcuno incolpa Dio, ma non credo che lui si preoccupi troppo di cosa succede lassù” (p. 75)

Non c’è Dio, non c’è misericordia, non c’è speranza per le strade del Kentucky.
Non si può guardare oltre il proprio naso, non si può aspirare ad essere qualcosa in più di quel che si è. Anzi, non si deve. Ed anche quando si concretizza una possibilità, come nel caso di Junior nel primo racconto (a mio parere il più denso e bello), non si è pronti, non si è in grado di accettarla. Le terre del Kentucky sono una camicia di forza da cui non ci si può liberare. Anche chi riesce ad andar via, è condannato a ritornarci.

“A volte non so che ci sto a fare qui”, disse.
“Non lo sa nessuno”, risposi. “Qui quasi tutti aspettano di morire e basta.”
“Non è divertente, Junior.”
“No, ma la cosa divertente è che tutti si alzano comunque con le galline.” (p.23)

Gli uomini sono tali e quali alle bestie, che al pari della natura rappresentano spesso l’antagonista delle vicende. Non è difficile doversi scontrare con gli orsi o con i puma. “[Dio] aveva creato i puma come aveva creato noi. Oggi la gente vorrebbe che gli animali avessero gli stessi diritti dell’uomo. Allora però era esattamente il contrario. ‘È tutto l’inverno che [i puma] aspettano un po’ di carne,’ disse Jim. ‘Proprio come noi'”
Non ci sono vincitori, solamente vinti. Sconfitti dalla vita e dalla miseria.

Nel complesso si tratta di una visione antropologica davvero molto intrigante e interessante. Supportata da uno stile semplice e incisivo e da un ritmo che sicuramente rende scorrevoli le 156 pagine. E c’è da dire che Offutt, in poche pagine, riesce come i migliori raccontisti a condensare un’intera vita.

Tuttavia ho trovato migliori e meglio realizzati quei racconti (Segature, Blue Lick, in parte Quello che devi lasciare) nei quali il punto di vista è rappresentato dallo sguardo ingenuo di un ragazzino. Offutt sa descrivere molto bene l’adolescenza, probabilmente è ciò che gli riesce meglio. In questi casi emerge qualcosa in più oltre al cinismo e all’asprezza, si avverte maggiormente quanto i personaggi si trovino costretti a dimenarsi inutilmente, per un destino già scritto e infelice, senza alcuna possibilità d’essere redenti. Essi appaiono qui più reali, autentici e con un anima pulsante (ad esempio oltre a Jim, davvero ben costruito e memorabile è il personaggio di suo fratello Warren, nelle sue contraddizioni, nelle sue impulsioni).
Nei racconti sull’adolescenza, quindi, si avverte un quid in più a equilibrare l’inevitabile cinismo, a mitigare una – forse eccessiva – acredine.

Quanto agli altri sei, tra racconti più avvincenti e altri più lenti, alcuni più intensi altri più anonimi, si chiude la lettura col sospetto che nell’economia e nella logica delle vicende la violenza sia rimasta fine a sé stessa ; e che nei racconti in sé, spesso, oltre al cinismo e alla brutalità, non c’è stato molto altro, se non a volte una sensazione di malinconia e rassegnazione che può incollarsi su di noi come catrame.
Il vero rischio è dunque di terminare un racconto impassibili e ‘induriti’ anche noi, senza provare nulla, forse anzi un certo turbamento, il che, per quanto come sensazione sia coerente con quella dei personaggi, al tempo stesso può minare il piacere della lettura.
A ciò dev’essere disposto chi intende approcciarsi a Nelle terre di nessuno.

– Giuseppe Rizzi –

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