Nella confusione generale che governa il mondo di internet, un interesse specifico lo riservo per le riviste letterarie, i lit-blog e tutta la famiglia di siti che trattano di letteratura. Ovviamente, questo interesse è (anche) pilotato dalla voglia di migliorare personalmente e dal desiderio di noi della famiglia dell’Ircocervo di fare sempre di più e sempre meglio. Ho pensato a un modo per indagare e divulgare le dinamiche e le motivazioni che si nascondono dietro chi sceglie di fondare o scrivere per una rivista letteraria; intervistare Alfredo Zucchi, fondare della rivista CrapulaClub, mi è sembrato il modo più immediato e interessante per farlo.
CA: L’idea della creazione di una rivista letteraria online è nata solo da te o da un concerto di idee con i tuoi colleghi?
AZ: A metà anni 2000 avere un blog mi sembrava un insulto alla letteratura e alla scrittura, poi qualcosa è cambiato – forse l’idea, l’illusione di essere letto da una comunità eletta e libera di lettori (una comunità fantasma). Un amico scrittore, Ciro Monacella, mi ha sedotto all’idea, e abbiamo lanciato questo luogo, CrapulaClub, per la rete. Presto mi sono trovato solo a gestirlo: per me all’epoca era un luogo dove riversare la mia cattiva coscienza in pieno, un festival dell’infamia psichica. Poi è entrato Luca Mignola (nel 2010), che conosco dai tempi dell’università, e la cosa ha preso tratti diversi: si è inserita la filologia. Nel tempo, con Anna Di Gioia, poi con Chiara Perrone, Nicola Di Marco, Antonio Russo De Vivo, Antonio Vena e Andrea Zandomeneghi, CrapulaClub è diventata un luogo strutturato e persino organizzato (cosa per me impensabile all’inizio) intorno a degli assi precisi: finzioni, traduzioni, critica letteraria e altre cose. CrapulaClub oggi conserva abbastanza intatto il gusto per le altre cose (improvvisazioni, sfondamenti, devianze) e questo è il motivo principale per cui ne faccio ancora parte.
CA: Qual era l’intenzione di partenza per CrapulaClub? Siete, editorialmente parlando, dove avevate progettato d’essere?
AZ: La rivista ha attraversato fasi – c’è stato un momento, nel 2013, con Anna Di Gioia, Luca Mignola e Chiara Perrone, in cui abbiamo lanciato la rivista di approfondimento Ô Metis, e abbiamo pensato, per un anno, a fondare una casa editrice – con una tale ingenuità che oggi a ripensarci rivedo il momento in cui mia figlia ha lasciato la mia mano e ha fatto tre passi in fila da sola. Dal 2014 all’incirca CrapulaClub si è assestata: i nostri desideri oggi sono più sogni guidati che mere illusioni. Il gruppo di direzione è ora formato da me, Luca Mignola, Antonio Russo De Vivo e Andrea Zandomeneghi. Posso dire che oggi siamo dove vorremmo essere: nell’ultimo anno, in qualche modo, abbiamo fatto un salto di visibilità e riconoscimento; questo ci permette di pensare e mettere in pratica cose che prima sarebbero risultate più faticose, se non impossibili. C’è l’idea di affrontare scrittura e letteratura con la serietà rigorosa del gioco. Ci sono equilibri consolidati all’interno del gruppo di direzione, modalità di gestione di tensioni e conflitti che nel tempo, per la disperazione di Mignola, hanno quasi preso la forma della dialettica hegeliana.
Persistono tuttavia frustrazioni – per quanto riguarda me –: uno vorrebbe essere più incisivo, avere un impatto più significativo nel panorama culturale – uno si chiede: fin dove può arrivare una rivista letteraria digitale fuori da ogni circuito economico? Ecco: uno deve conoscere e riconoscere i propri limiti, altrimenti deve cambiare aria. Un lit-blog, una rivista letteraria, non può essere statica: o è vitale o è morta. (Cosa che concede a una rivista letteraria il privilegio nietzschiano di morire al momento opportuno.)
CA: Cosa, secondo te, può distinguere una rivista letteraria “di qualità” da una “migliorabile”? A cosa bisogna mirare quando si decide di fondare una rivista?
AZ: Faccio ora come se parlassi a me stesso (cosa che mi capita sempre più spesso): un’identità precisa e riconoscibile. Ci sono dei parametri oggettivamente misurabili, certo: la competenza e la coerenza nel trattamento dei testi (l’uso ad esempio di norme di stile codificate, la pratica intensiva dell’editing) e nella gestione degli spazi all’interno dei quali i testi vengono classificati, la consapevolezza dei mezzi utilizzati per la diffusione (sito web, social, stampa), la costruzione di una comunità di lettori/scrittori. E tuttavia: ci sono riviste “autorevoli” che pubblicano articoli pieni di refusi, che ostentano negligenza nel trattamento dei testi, che non condividono sui social i testi dei collaboratori – cose strane e inspiegabili, dunque torno a dire: un’identità precisa e riconoscibile.
CA: In CrapulaClub è presente anche una sezione “Crapula Edizioni”, dove selezionate e pubblicate i racconti inediti che vi vengono inviati. Cosa è che rende un racconto un buon racconto?
AZ: A una domanda del genere ognuno risponde secondo il proprio gusto. Io rispondo con Cortázar: “E l’unico modo in cui può avere luogo questo sequestro momentaneo del lettore è attraverso uno stile basato sull’intensità e sulla tensione, uno stile in cui gli elementi formali e espressivi si adattino, senza la minima concessione, all’indole del tema, che conferiscano al tema la sua forma visiva e auditiva più penetrante e originale, che lo rendano unico, indimenticabile, che lo fissino per sempre nel suo tempo, nel suo ambiente e nel suo senso più primordiale.” (“Algunos aspectos del cuento” (1962-63), Obra crítica 2, 1994, Alfaguara, i corsivi sono miei)
CA: CrapulaClub si distingue per la grande diversità di tematiche e l’originalità con cui vengono trattate. L’interdisciplinarietà è ad oggi un elemento necessario per una rivista letteraria?
AZ: Non credo. Voglio dire: per noi lo è, ma non per tutti è così. L’interdisciplinarità per CrapulaClub è un vettore di sfondamento del segno letterario, una fonte di ironia, una traccia dada. È una cosa che ha a che vedere con l’alterità. È poi anche un’opportunità di collaborare con persone in grado di offrire competenze che travalicano la letteratura. Un lettore mi ha fatto notare, all’indomani della pubblicazione del dossier Road to Twin Peaks, che su CrapulaClub si pratica la “religione della letteratura”. Se è così, e io ci credo, allora le incursioni estemporanee e interdisciplinari (catalogate per lo più in Lupus in Crapula) hanno la funzione fondamentale di ribaltare ogni idolo che abbiamo, volontariamente o meno, eretto.
CA: Quanto conta la collaborazione e il dialogo con le altre riviste del settore?
AZ: Per noi è importante, ma non è necessariamente facile. Senza entrare in discorsi egemonici, persistono atteggiamenti da “difesa dell’orticello curato con dovizia da anni ogni mattina all’alba” che rendono collaborazione e dialogo frustranti. CrapulaClub negli anni ha costruito relazioni positive di scambio con Cattedrale, con TerraNullius, con il blog di Edizioni Sur (Sotto il Vulcano), con Pagine Inattuali e Zest.
Apprezzo molto chi riesce a confrontarsi sui contenuti e non sugli status symbol (“io ho tot followers e tu non sei nessuno”: nei primi anni di vita di CrapulaClub questo è successo molto spesso, le riviste citate sopra sono le eccezioni); apprezzo ancora di più chi, come Verde e TerraNullius, conserva originalità e devianza nella proposta.
CA: Quali consigli daresti a chi è in procinto di fondare una sua rivista letteraria, o ha ambizione di crescere e farsi strada in questo ambito?
AZ: A chi voglia fare soldi con una rivista letteraria (digitale o meno) consiglio di cambiare mestiere e di darsi allo studio della “macchina poliedrica di Roberto Arlt”, che è appunto una macchina per fare soldi con la letteratura, ma che spesso porta dritto in prigione.
Il mix di intelligenza, studio e passione fa la differenza. Se davvero conta un’identità precisa e riconoscibile, si tratta anche di osservare gli altri e se stessi per trovare uno spazio in cui collocarsi. Anche se la cosa più importante di tutte è circondarsi di collaboratori in gamba: in un contesto in cui la retribuzione economica è pura rarità e eccezione, è il senso di comunità e fiducia reciproca a contare più di ogni altra cosa.
CA: E a un giovane scrittore? Quali consigli offriresti?
AZ: Non credo di avere l’autorità per dare consigli a scrittori, giovani o vecchi che siano – ma siccome non auctoritas, sed veritas facit legem, dico, riprendendo di nuovo Cortázar: affondare senza tentennamenti nelle proprie ossessioni e godersi tutto, anche gli ostacoli e le crisi.
Clelia Attanasio
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