Un musicista da strada che vive di jazz e alcol, un furto finito male e un ricovero in ospedale: questi sono gli elementi centrali del rocambolesco incipit di Preludio a un bacio, l’ultima opera di Tony Laudadio, edita da NN Editore. Un inno alla rinascita personale e alla capacità umana di reinventarsi, con la giusta dose di sensibilità, forza d’animo e passione.
In occasione della recente uscita nelle librerie del suo ultimo romanzo, abbiamo avuto il piacere di discutere con l’autore di alcuni degli aspetti più particolari dell’opera.
Potremmo definire Preludio a un bacio come un incontro tra musica e letteratura, dove parole e note s’intrecciano costantemente attraverso una pluralità di espedienti più o meno palesi. Il lettore viene guidato nell’associare ai capitoli e ai ritmi narrativi del romanzo i brani musicali che li accompagnano. Come hai gestito, nel corso della scrittura dell’opera, questo rapporto così particolare e articolato tra letteratura e musica?
In fase creativa, per quanto mi riguarda, la musica e la scrittura sono sempre totalmente integrate, non potrei scinderle, persino laddove, come in altri miei romanzi, i pezzi musicali non vengono esplicitamente citati (o addirittura suonati, come in Preludio a un bacio). Gestisco quindi l’aspetto sonoro della scrittura e della struttura letteraria quasi come un compositore, percependo melodie e armonie in previsione dei temi e delle atmosfere che sto per affrontare, e provando a integrarle in un’unica forma, in modo tale che la parola e la musica si aiutino a vicenda.
Il titolo del romanzo è un riferimento al brano musicale Prelude to a kiss. Si tratta dell’unica canzone che fa da colonna sonora a ben due capitoli – la prima volta nella versione interpretata da Duke Ellington, la seconda da Billy Holiday. A cosa si deve questa scelta? Quale sfumatura delle diverse interpretazioni ti ha spinto ad associarle ai rispettivi capitoli?
Volevo assolutamente che il romanzo cominciasse con questo pezzo, nella versione essenziale e pura del suo creatore – Duke Ellington – in parte perché quella splendida melodia corrispondeva pienamente al tono che volevo imprimere all’incipit della narrazione e in parte perché dava il titolo al romanzo. Poi però, nel momento in cui finalmente il tanto auspicato bacio arriva e tutta la musica appunto non sembra altro che un preludio a quel bacio, mi è sembrata obbligata la scelta di una voce femminile, che ribaltasse la prima percezione della canzone e desse più corpo all’aspetto seduttivo della scena, e quale voce migliore di Billy Holiday poteva esserci, con la sua insinuante bellezza?
“Di cos’altro può scrivere un uomo se non di una donna?”, recita uno degli aforismi con cui Emanuele, protagonista dell’opera, accompagna le sue performance musicali. E infatti la vita del protagonista, nel suo percorso di rinascita dalla crisi, gravita interamente intorno a tre figure femminili. Ti rigiro la domanda, anche se da un’altra prospettiva: cosa vuol dire per un uomo scrivere, da una prospettiva comunque maschile, di donne?
Non mi pongo una questione di genere. Per narrare devo entrare in contatto con gli aspetti più intimi e profondi di un personaggio, sia esso donna o uomo, e sollecitare le capacità mimetiche che uno scrittore (non un attore, uno scrittore) deve avere. Così come non mi porrei il problema di essere un assassino, dovendo narrare di un assassino, o di essere un cagnolino dovendo scrivere di un cagnolino. In questo caso l’importanza della sfera femminile nella vita di Emanuele è anche metafora del suo stesso “femminile”, quello che gli dona sensibilità, capacità di assistere gli altri, dolcezza. E’ un aspetto che i maschi spesso rifiutano e che invece, e nel romanzo è evidente, se coltivato può diventare salvifico.
Il tema della morte, insieme a quello parallelo e forse predominante della vita, sembra esserti molto caro. L’attentato alla vita di Emanuele è incipit di Preludio a un bacio, per esempio, ma la doppia tematica torna anche in opere come Esco o L’uomo che non riusciva a morire. Esiste un motivo particolare?
In effetti non posso prescindere da questo tema di fondo in quello che scrivo e, pur non essendo programmatico, alla fine mi rendo conto che risulta più presente di quanto pensassi io stesso. Credo che sia strettamente connesso ad alcuni dei temi che più mi stanno a cuore: il tempo, la memoria, i legami. È impossibile entrare nel cuore di questi argomenti senza tirare in ballo il limite che sta a monte di tutto questo e che pervade la vita di ognuno di noi fin dalla nascita: la scadenza!
Il protagonista del tuo romanzo è un sassofonista. Tu stesso hai iniziato a dedicarti alla musica in giovane età, insieme alla scrittura, alla recitazione e alla drammaturgia: che legame intercorre per te tra queste diverse forme d’arte, e che ruolo occupano nella tua vita?
Potendo rivivere la mia carriera, probabilmente avrei scelto di fare il musicista, è tuttora l’arte che mi concede più gioia e soddisfazione. Non è andata così, per questioni lunghe da spiegare ma che parzialmente confluiscono poi nei miei scritti. In me non c’è una distinzione così netta tra le varie arti, sono solo il mezzo con cui si esprime e si realizza l’impulso creativo. Tale impulso, certo, a volte viene tirato da una parte o dall’altra, a seconda delle occasioni, e trova la sua forma precipua, ma l’intento che sta alla base è sempre lo stesso. D’altronde in un atto artistico confluiscono sempre diversi elementi trasversali. In me questo forse è solo più evidente.
Considerando i continui rimandi sia al mondo della letteratura sia a quello della musica, una domanda è d’obbligo: quali grandi protagonisti di entrambe le arti hanno contribuito a formarti come scrittore e, soprattutto, a dar vita a Preludio a un bacio?
La mia formazione musicale è essenzialmente jazzistica, sul piano tecnico. Oltre al jazz però, ascolto molta musica classica così come anche musica leggera e non disdegno alcuni cantautori. Per Preludio a un bacio non posso non citare Sonny Rollins, sassofonista dalla vicenda umana molto romanzesca. Sul piano letterario non ho riferimenti diretti, in questo caso, forse “Fame” di Knut Hamsun o certi febbrili racconti di Dostoevskij, ma insondabile è l’inconscio creativo e lascio ai critici l’onere di stabilire le influenze.
Oltre alla produzione letteraria dal carattere più narrativo, molte delle tue opere sono di fatto testi teatrali. Quali sono i punti di contatto e le grandi differenze tra queste due forme letterarie?
Tutto nasce con i personaggi. Si sviluppano dentro di me e scavano nella mia testa i loro percorsi e le loro esigenze. A seconda di come le loro caratteristiche si accumulano dentro di me, piano piano i personaggi stabiliscono, quasi da soli, la loro destinazione finale, teatro o libro. La fonte quindi è la stessa. Sul piano pratico sono invece tecniche alquanto diverse, soprattutto per me è una questioni di tempi. Il teatro ha bisogno di immediatezza, il romanzo invece può prendersela più comoda, anche se su tutto domina la musica che ne innerva lo spirito.
(di Anja Boato)
NB. La foto dell’autore è di Alessia Della Ragione
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