Una virtù vacillante, Yukio Mishima
(Einaudi – trad. L. Origlia)
Una virtù vacillante fu pubblicato per la prima volta in Giappone nel 1957, a puntate, ed ebbe un successo così travolgente che il verbo vacillare diventò un sinonimo di cedere alla tentazione dell’adulterio e nello stesso anno di uscita dal romanzo fu tratto un film.
Cos’ha di tanto speciale questo libricino? Di certo non risulta attraente per la trama in sé: Setsuko, una giovane signora dell’alta borghesia di Tokyo, decide dopo anni di virtù coniugale di abbandonarsi all’adulterio, sperimentando le gioie e le sofferenze dell’amore.
Un tema già ampiamente sviscerato nella letteratura degli ultimi due secoli, basti pensare a Flaubert e alla sua Madame Bovary. Eppure, pur inserendosi nel solco di una tradizione già iniziata, Mishima ha creato qualcosa di nuovo e vivo, meritevole di passare alla storia.
La prima differenza dal capolavoro di Flaubert sta nello sguardo freddo, a tratti spietato, con cui Mishima racconta i più intimi pensieri di Setsuko: non c’è traccia qui della partecipazione al destino di Emma che rende invece così appassionato il romanzo dell’autore francese. L’incipit offre un’idea significativa dell’approccio dell’autore alla narrazione:
Mi domando se mi sia lecito iniziare bruscamente con un’osservazione irriguardosa, ma devo dire che la signora Setsuko Kurakoshi, benché avesse soltanto ventott’anni, era dotata di un’innata sensualità. (p. 3)
I pensieri di Setsuko sono analizzati con una precisione chirurgica, se pur non priva di delicatezza. Sposa più per interesse che per passione, adultera nei desideri ma virtuosa nei fatti, madre distratta, un giorno Setsuko compie il passo che aveva a lungo vagheggiato e diventa l’amante del giovane Tsuchiya.
La loro relazione segue tutti gli stadi di una storia d’amore nata più per noia che per passione, e Mishima li racconta tutti, dettagliatamente: la paura di essere scoperti, la passione dei primi incontri, la gelosia, il sospetto, la necessità di separarsi.
L’autore non cerca mai di giustificare la protagonista, né sembra compatirne le angosce, la tratta invece quasi come un oggetto di studio, uno strumento per analizzare l’ancestrale conflitto tra maschile e femminile.
Agli occhi del lettore del 2018 l’ossessione di Setsuko e la sua propensione a riflettere a lungo su ogni dettaglio dei suoi rapporti con Tsuchiya appaiono più naturali conseguenze della noia coniugale della signora e dell’incredibile quantità di tempo libero a sua disposizione che sue attitudini naturali in quanto donna.
L’autore, invece, insiste molto sul modo femminile di Setsuko di vedere il mondo, in contrasto con la visione delle cose che avrebbe un intellettuale. Si lascia quindi intuire che Tsuchiya e il marito di Setsuko, figure impenetrabili e misteriose fino alla fine, avrebbero una loro storia da raccontare, se solo il punto di vista della narrazione non fosse per forza di cose ancorato a quello di una donna.
Mishima non sminuisce il modo di ragionare e approcciarsi alla vita che lui definisce femminile, sembra anzi esserne attratto, con la curiosità di uno studioso.
Per un lettore occidentale, è interessante leggere una vicenda universale – una donna annoiata tradisce il marito distratto – calata in un contesto particolare ed esotico come il Giappone degli anni Cinquanta.
Colpisce in particolarità la facilità con cui l’incredibilmente feconda Setsuko accede all’assistenza ospedaliera per le interruzioni di gravidanza e la disinvoltura dell’autore nel trattare questo tema: Setsuko non si chiede se l’aborto in sé sia o meno etico, le motivazioni che la spingono ad agire sono più complesse:
Setsuko si sentì come una martire e provò una gioia colma di sofferenza al pensiero che, per amore di Tsuchiya, avrebbe rinunciato a generare un figlio. [… ] Grazie al dolore e alla grandiosità di quel sacrificio, che quasi adulava il suo orgoglio, Setsuko avvertiva di essere superiore a Tsuchiya. È necessario precisare che Setsuko, sebbene nutrisse così nobili pensieri, era anche influenzata da considerazioni etiche mai sottoposte prima ad analisi, che l’inducevano a ritenere giusto liberarsi di un figlio palesemente adulterino. (pp. 75-76)
Risulta squisitamente giapponese anche la tendenza della giovane protagonista a cercare consiglio per le sue pene in persone anziane con cui si mette in contatto tramite una rete di conoscenze, abituate a cercare conforto in saggi sconosciuti.
Una virtù vacillante è, in definitiva, un romanzo da leggere per scoprire una prospettiva sulla vita inedita e originale, oltre che un breve assaggio della prosa elegante e raffinata di Yukio Mishima.
(Loreta Minutilli)