“Sonno bianco”, il nuovo vibrante romanzo di Stefano Corbetta

Sonno bianco, Stefano Corbetta
(Hacca Edizioni, 2018)

Il nuovo romanzo di Stefano Corbetta è uscito in libreria da nemmeno una settimana, si intitola Sonno bianco ed è edito da Hacca Edizioni. Si tratta di una storia da leggere d’un fiato, prima ancora che diventi virale, che ne parlino le riviste, che la consiglino gli amici: perché, oltre ad essere un romanzo scritto in maniera impeccabile, è soprattutto un romanzo di spessore. Psicologico e non solo.

La vicenda si scompone in due macro-parti, ricollegate da un’anticipazione iniziale comune e da un epilogo che abbraccia tutti i personaggi a modo loro, nessuno escluso, e racconta due diverse varianti di un destino apparentemente simile: quello di due gemelle omozigote, Bianca ed Emma. Le due sono amiche per la pelle fin da bambine, al punto che la prima si precipita un giorno in soccorso della seconda durante una gita scolastica.

Hanno entrambe nove anni, una pallina cade per terra mentre il loro pullman è temporaneamente fermo, ed Emma si lancia al suo inseguimento senza esserne quasi cosciente, ipnotizzata dal rotolare dell’oggetto. Bianca non rimane a guardare neanche per un attimo, ma il risultato è comunque disastroso: Emma subisce una menomazione alla gamba, Bianca entra in coma e ci rimane per anni.

Le loro vite, prima simbiotiche e riflesso l’una dell’altra, si separano con un gesto violento e repentino, di cui nessuna delle due è colpevole fino in fondo, ma che perseguita Emma in sordina e che la fa sentire un vaso scivolato per terra e finito in mille pezzi. Non lo dà a vedere di fronte agli altri, alla famiglia, a sé stessa, eppure certe crepe dentro di lei rimangono appuntite fino all’adolescenza, accompagnandola in un percorso silenzioso e travagliato che prosegue per lo più da sola.

Dopotutto, sua madre si è già arresa alla sofferenza e si è cucita una stanza da letto su misura per le sue ossessioni, dalle quali spesso si rifiuta di uscire, mentre suo padre non è in grado di fare i conti con l’accaduto in una maniera che smetta di mortificare gli altri e di ridipingere con un misto di serenità e di leggerezza in più le loro pareti interiori. Emma tenta ugualmente di rimanere in piedi, decidendo a un certo punto, quando ancora non è neppure minorenne, di andare a fare un provino teatrale.

Il suo gesto sottile e deciso spiana a Emma una possibilità di riscatto, che la vede appassionata da un lato di pianoforte e musica classica, dall’altro lato innamorata del suo stesso insegnante di recitazione, pronto a darle il tempo che le serve perché lei riesca a includerlo nelle proprie giornate, nei propri pensieri, nel sonno bianco che dentro di sé continua a condividere con la sorella quasi ininterrottamente.

Il tutto lo si scopre con una calma certosina, grazie a cui si viene condotti nella quotidianità dei protagonisti senza poterla mai penetrare fino in fondo: si rimane in punta di piedi a osservarli respirare, spiando le loro conversazioni rapide e zuppe di sottintesi. Lo stile rarefatto e morbido dell’autore ne attutisce il peso, cosicché ogni dolore si trasforma in una lieve nota musicale, in un tocco di mani sfumato, in un tunnel non troppo oscuro.

E da quest’ultimo sembra, in un modo o nell’altro, che si possa addirittura venire fuori: per riuscirci sono necessari studi scientifici, sacrifici, attese intollerabili, allontanamenti, domande la cui risposta è sempre accennata e mai sicura, e tuttavia lo stato di incoscienza di Bianca include la potenziale dimensione di un risveglio. Stefano Corbetta ne prepara il terreno con maestria, con la compenetrazione di chi vuole bene alle proprie parole e si rifiuta di manipolarne il senso della vita, ma proponendo contemporaneamente una riflessione ben lontana dall’essere retorica, scontata o riconciliante.

Da ogni sonno, d’altronde, non ci si può che risvegliare intorpiditi e slegati dal resto del mondo, pronti ad essere risucchiati da un altro più conturbante sopore: quello che ci separa dai nostri cari e che ci coglie impreparati e tremanti, mentre cerchiamo di riparare con l’oro i frammenti del nostro vaso sbriciolato. Perché alla resa dei conti è questa la metafora nella quale siamo tutti, indistintamente, coinvolti.

Eva Luna Mascolino

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