La casa sul Bosforo, Pinar Selek
(Fandango, 2018 – Trad. A. Tosatti e C. Diez)
L’Istanbul di Pinar Selek rivive nelle vicende degli abitanti del quartiere Yedikule, protagonisti de La casa sul Bosforo. Per scrivere questo romanzo, l’autrice ha attinto a piene mani dai propri ricordi d’infanzia e dal proprio vissuto (il padre fu imprigionato dopo il colpo di stato del 1980, lei stessa è stata accusata di essere una dissidente e una terrorista, e vive in esilio dal 2009).
La casa sul Bosforo attraversa vent’anni di storia turca, dal 1980 al 2001. Protagonisti sono quattro ragazzi: Elif e Hasan, innamorati di Bostancı costretti a separarsi dopo il colpo di stato, e la coppia formata da Salih e Sema del quartiere di Yedikule. Dopo i primi capitoli, in cui l’autrice presenta i personaggi principali chiarendone le caratteristiche, i sogni e gli ideali, la prospettiva si allarga a includere i genitori, gli amici e i pittoreschi abitanti di Istanbul. Nuovi personaggi vengono introdotti attraverso capitoli specifici, ma la narrazione resta ancorata, per la maggior parte della lettura, ai protagonisti.
All’interno di questo mondo variopinto, fra prostitute e indovine, falegnami e capitani, musicisti e intellettuali, gli assenti hanno la stessa rilevanza dei presenti. Molti personaggi sono accomunati dalla condizione di orfani: di padre o di madre, non ha importanza. Se ne trae l’impressione di una generazione priva di radici, in balia degli eventi. I personaggi si rivolgono ai genitori perduti chiedendo sicurezza, domandandosi se le loro azioni siano meritevoli e rimpiangendo il passato come un’età di certezze, un paradiso perduto.
Questa ricerca, operata da tutti i protagonisti, conduce a esiti differenti: la giovane Elif, orfana di madre, dopo l’arresto del padre si incammina sul sentiero della politica e della lotta armata; Hasan, rimasto solo, attraversa l’Europa e la Turchia alla ricerca delle sue radici; Salih, diventato capofamiglia dopo la morte del padre, si butta a capofitto nel lavoro; Sema è l’unica a mantenere intatti i suoi sogni e le sue speranze, e a non abbattersi di fronte alle difficoltà. Sarà proprio la sua positività a renderla un punto di riferimento per gli altri personaggi.
Mentre Sema, come uno spirito benigno, influenza le vite degli abitanti di Yedikule conducendole verso la felicità e il successo, Elif è una ragazza e una donna tormentata. L’amore di suo padre e di Hasan non sono sufficienti a soffocare i suoi demoni, un desiderio fortissimo di libertà e giustizia che la porta a sperimentare la clandestinità e l’esilio. È chiaramente il personaggio più intimo e particolare; il suo percorso ricorda fortemente quello dell’autrice.
I personaggi rappresentano l’elemento più affascinante dell’opera: variopinti, carismatici, si intrecciano come i fili di un arazzo, disegnando una rete di eventi e relazioni che si incastrano con sorprendente facilità.
Ma se la Selek restituisce al lettore uno spaccato verosimile della vita in un quartiere come Yedikule, il contesto generale presenta alcune debolezze.
Gli eventi storici sono a malapena accennati. La motivazione non è chiara: si tratta forse di reticenza conseguente alla sua condizione di esiliata. In ogni caso, il lettore occidentale può sentirsi confuso dall’assenza di riferimenti precisi.
All’incertezza del contesto storico corrisponde uno stile composto da frasi brevi, secche, talvolta sincopate. Le immagini inframezzano le azioni e le parole dei personaggi. Sebbene la brevità e la semplicità non siano qualità di per sé negative, le frasi dell’autrice raggiungono un tale livello di frammentazione da rallentare la lettura.
La casa sul Bosforo, dunque, è sicuramente un libro piacevole. È facile immedesimarsi nei personaggi, vivaci e verosimili; il desiderio di scoprire il loro destino porta il lettore a non interrompere la lettura. D’altro canto, tuttavia, il contesto nebuloso e lo stile frammentato rappresentano ostacoli non indifferenti. Il racconto risulta meno scorrevole di quanto avrebbe potuto essere, e manca di accenni a una realtà mediorientale che l’avrebbero reso memorabile.
Sonia Aggio