Questione di virgole, Leonardo Luccone
(Laterza, 2018)
Punteggiare rapido e accorto è il riuscito sottotitolo del libro di Leonardo Luccone, Questione di virgole, edito da Laterza nel 2018. Un’espressione piuttosto felice che da una parte allunga la lista delle parodie al montaliano «Meriggiare pallido e assorto», (memorabile il «merendar squallido e corto» di Luciano Folgore*); dall’altra invece descrive bene la mèta a cui Luccone vorrebbe portare i suoi lettori: una scrittura – e una punteggiatura – consapevole, precisa, funzionale.
Il libro intende dare una rispolverata alle nozioni di punteggiatura, che per molti spesso risalgono, affrontate frettolosamente, alle lontane scuole elementari; suggerire se non delle vere e proprie regole, almeno alcune buone abitudini; sollevare dubbi nel lettore, che alla fine del libro si ritroverà, in effetti, con qualche certezza in meno e qualche scrupolo in più.
Il progetto che muove questo libro è dunque più che meritevole: suscitare riflessioni sulla consapevolezza che tutti noi abbiamo (o non abbiamo) della nostra lingua è questione di grande importanza in un contesto come quello odierno in cui si è sempre più inconsapevolmente dipendenti dalla letto-scrittura.
Tuttavia, pur nelle migliori intenzioni, il libro non sembra riuscito: lo spirito divulgativo del testo si traduce in scelte stilistiche e strutturali molto marcate, che tuttavia non si fondano sul rigore necessario per mantenerle.
Il tono è di una informalità spiccata (che alla lunga annoia); eccone un esempio: a p. 51 «Certo che queste due virgole ci fanno prendere due bei respiri, eh! Sì, sì, ci stanno tutte. Cooosa? Se l’avete pensato siete dei begli asinacci». La scelta dell’informalità di per sé non è un limite, se portata avanti in modo coerente ed efficace, ma non è questo il caso: a p. 136: «Analizzate ora come Gadda sfrutta a suo favore una situazione analoga, spostando in continuazione il focus dell’inciso, come se l’informazione accessoria coalescesse». Coalescesse. Un segno di irriducibile snobismo che arriva a compromettere lo stile stesso dell’opera (una “questione di virgole”?).
L’incoerenza fra il «cooosa» e il «coalescesse» si ripresenta in modo analogo nella struttura del libro: la scelta di Luccone è quella di un testo divulgativo, tuttavia per seguire il discorso occorrono concetti di solida grammatica che in un ampio pubblico sono certamente non scontati. Per tutti coloro che non si sentono a proprio agio con l’analisi del periodo il libro risulta noioso; per gli altri invece Questioni di virgole rischia di risultare semplicistico.
In conclusione, l’autore ha tentato di percorrere uno stretto cammino fra la divulgazione a un pubblico ampio e l’argomentazione necessariamente articolata di concetti complessi: la difficoltà della strada e il valore del proposito giustificano in qualche modo le oscillazioni della struttura. Invece la questione stilistica è, a mio parere, più seria, e rimanda a una lapidaria affermazione di Calvino:
«La letteratura non è altro che inventarsi delle regole e seguirle. Nel linguaggio è lo stesso[…]. La letteratura si può fare con qualsiasi linguaggio, solo bisogna decidere qual è la scelta che fai»**
Adriano Cecconi
*L. Folgore, Il libro delle parodie, Milano, Ceschina, 1965, p. 128.
**I. Calvino, I libri degli altri. Lettere 1947-1981, Torino, Einaudi, 1991, p. 484