La gente non esiste, Paolo Zardi
(NEO. – 2019)
Una signora anziana sostiene di aver scoperto una botola, uno squarcio nello spazio-tempo, attraverso la quale può rivivere ogni evento del suo passato e parlare con chi non c’è più.
La fine del mondo è in arrivo e una ragazzina la attende pensando a quello che non avrebbe più potuto fare. Guarda suo fratello, ridotto ormai a un vegetale capace di fissare solo il soffitto, e decide che non può lasciarlo morire senza che prima perda la verginità.
Un uomo di mezza età si innamora di una ragazza russa che gli scrive email affettuose, e pur consapevole che non esiste, che il suo è un profilo fake per spillare soldi agli uomini soli come lui, si abbandona all’illusione di una vita insieme a lei.
Sono solo tre esempi di storie che si possono leggere ne La gente non esiste, miscellanea che raduna ventisette racconti sparsi di Paolo Zardi, pubblicati su riviste o in antologie (ma non solo). L’autore che nel 2015 arrivò a sorpresa nella dozzina del Premio Strega torna a pubblicare con NEO – la casa editrice abruzzese che l’aveva lanciato – dopo aver pubblicato lo scorso anno un romanzo con Feltrinelli.Un altro racconto dei più riusciti ed emblematici, Il ritorno, narra di una rimpatriata tra amici di scuola che si rivedono dopo trent’anni, per una promessa fatta quasi per gioco dopo aver visto al cinema Ritorno al futuro. Un uomo pensa a quello che era, a quel che avrebbe voluto essere e a quello che è diventato. Il suo presente di fallimenti, di solitudine, di arrendevolezza si alterna al passato di sogni gloriosi, di progetti bellissimi, di ingenua e innocente spensieratezza. E dunque si chiede: «La vita non ha mantenuto le sue promesse o era sbagliato il sogno?»
O ancora, come non menzionare il divertentissimo Le cyclette non vanno da nessuna parte, forse il racconto che per voce e spirito più si differenzia da tutti gli altri. Un uomo si sveglia nel cuore della notte, sua figlia sta festeggiando i suoi diciotto anni. Decide che è giunto il momento di prendersi le sue responsabilità: le deve svelare la verità che le ha tenuto nascosto per tutta la vita. Si innesca una situazione angosciosa e seria, come quando nei film si rivela a un ragazzo che in realtà quelli non sono i suoi veri genitori. Il cliché c’è fino in fondo: l’uomo attende gravemente che la figlia rincasi alle sei del mattino e dice la fatidica frase: “Ti devo parlare” e poi ancora “E’ meglio se ti siedi”. E infine fa la sua confessione: “Ti ho mentito, Sara… L’ho fatto per proteggerti… Il mio lavoro… non è quello che credi…” e finalmente, straziato, pur consapevole che lei forse non gli rivolgerà più la parola, ammette la vergogna che le aveva taciuto da sempre: “Lavoro nell’editoria”.
Ma cosa hanno in comune questi racconti? In primis, tutti, con rare eccezioni come quello appena descritto, sono racconti di dolce malinconia, se non addirittura di candida angoscia che si insinua nelle trame del quotidiano. Il punto di partenza è una condizione ordinaria, banale: la routine del matrimonio, il lavoro, qualche conversazione tra amici, un rapporto di coppia, una vita monotona. Un’ordinarietà grigia e simile a quella di chiunque, nella quale riesce a penetrare, talvolta, una traccia di straordinario – come nel racconto La botola, come in Urano. Oppure un elemento grottesco che soffia via una patina di iper-realismo, come appunto ne Le cyclette non vanno da nessuna parte, o come in Tuca Tuca, nel quale il sofferto cooming out di un ragazzo davanti ai suoi genitori viene interpretato come causa del suo aver assistito, da piccolo, ai programmi di Raffaella Carrà.
A prescindere da come se ne parli, La gente è ovunque colta nelle sue debolezze universali, è imbrigliata in una esistenza soffocante o ingiusta o insoddisfacente. Tutti gli individui che compongono questa massa indistinta che è la gente si trovano ad avere a che fare con la malattia, l’anzianità, la morte, amori persi o che finiscono, sogni e speranze infranti. Il tema della memoria e del ricordo è qui ricorrente. Possiamo dire che sotto l’apparente diversità delle storie raccontate c’è un’unità comune: quasi tutti i protagonisti dei racconti condividono tra loro il ritrovarsi a fare i conti col tempo: quello trascorso, quello perduto, quello che non s’avrà, quello dimenticato, atteso, tradito, mai avvenuto. Una tematica cardine della letteratura che non smette mai di affascinare.
Non è un caso che la maggior parte dei racconti ha per protagonista un uomo di mezza età che, a partire da un evento scatenante, si ritrova a riflettere sulla sua condizione esistenziale, come in una sorta di confessione. Caratteristica, bisogna ammettere, che può dare l’impressione di una certa ridondanza, per quanto voluta. Anche la lingua semplice e ordinaria non varia mai nei diversi racconti.
In definitiva, quando si ha a che fare con una raccolta che contiene così tanti racconti, si ritrovano necessariamente una quantità di racconti buoni, un tanto di racconti dimenticabili e una certa porzioni di racconti che colgono nel segno. Il figlio della signora Bastianini, Botole, Grammatica finlandese, L’anello, Urano, Le cyclette non vanno da nessuna parte sono sicuramente tra questi ultimi.
Giuseppe Rizzi
I racconti sono come le ciambelle: non tutti riescono col buco.
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