Le voci sciamaniche di Jesmyn Ward

Canta, spirito, canta, Jesmyn Ward
(NNE, 2019 – Trad. di M. Pareschi)

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All’inizio di Salvare le ossa – il primo libro della trilogia di Bois Sauvage di Jesmyn Ward, National Book Award nel 2011 – la protagonista, Esch, racconta di un tema che ha scritto a scuola e di cui va molto fiera: è stata l’unica della classe in grado di spiegare perché il bambino di Mentre morivo è convinto che sua madre sia un pesce. Qualche anno dopo – nel 2017, ma in Italia solo quest’anno – Ward pubblica Canta, spirito, canta, secondo capitolo di quella trilogia, e diventa l’unica donna della storia a vincere un secondo National Book Award. Anche questa volta c’entra Mentre morivo, ma in modo più profondo.

Breve parentesi per quelli meno preparati – se non vi sentite nella categoria avete il diritto di saltare questo paragrafo. Mentre morivo è il capolavoro di William Faulkner. Scritto in sei settimane, mentre il grande premio Nobel americano faceva l’operaio in una centrale elettrica. Racconta il viaggio di una donna morta: i figli e il marito la mettono in una bara e la portano al paese dove ha chiesto di essere seppellita. Chi l’ha letto sa che la trama non è sufficiente a spiegare questo romanzo. Ciò che sconvolse tutti, all’epoca, era l’esplosione dei punti di vista dei personaggi in tanti monologhi separati: quindici voci – compresa quella della morta – ognuna con la sua idea di mondo e con le sue fissazioni. Non si tratta del romanzo più sperimentale di Faulkner – leggetelo dopo L’urlo e il furore: tirerete un sospiro di sollievo – ma per qualche motivo è il più potente: non c’è uno scrittore contemporaneo che non ne abbia sentito l’ombra lunga addosso. Jesmyn Ward compresa.

Chiusa parentesi. Adesso, in due parole, la trama di Canta, spirito, canta. Leonie, una mamma poco amorevole, prende con sé il figlio grande, Jojo, e la figlia piccola, Kayla; salgono in macchina e vanno a prendere Michael, il padre dei bambini, appena uscito di prigione. Un viaggio di andata e ritorno. Questa storia esilissima è magnificata dalla tecnica che Ward sceglie per raccontarla: un palleggio di prime persone, come in Mentre morivo; alternandosi, Jojo e Leonie portano avanti la storia un pezzetto alla volta, ognuno a modo suo. Mentre compongono a turno il puzzle di questo viaggio, dipingono indirettamente la scenografia della loro incomprensione reciproca: l’odio di un figlio per una madre scriteriata, l’amore di una madre incapace di dimostrarlo.

L’espediente del viaggio e la struttura corale inseriscono Jesmyn Ward in uno dei solchi letterari più solenni, difficili della letteratura mondiale, ma non sono gli unici elementi di vicinanza con Mentre morivo. L’eredità pesante che Canta, spirito, canta si porta dietro è di sostanza: l’ambizione di attraversare la morte, di confrontarsi con lo spirito e con gli spiriti. Se il primo volume della trilogia, Salvare le ossa, era un romanzo radicalmente realistico, un groviglio di destini umani, questo secondo capitolo alza l’asticella e nella traiettoria dei personaggi inserisce i morti: gli spettri degli ammazzati che non hanno trovato pace aleggiano tra le pagine, parlano con i vivi, contribuiscono a determinare i loro destini.

È un dono speciale della famiglia, quello di riuscire a vedere i morti. Lo dice la vecchia Mama, stesa nel suo letto in attesa dell’ultima ora: lei non è esattamente in grado di vederli, sente delle cose. Leonie, invece, quando si droga vede il fratello ucciso anni prima. Jojo, il più portato, riesce a capire il linguaggio degli animali e a un certo punto vede Richie: un’anima in pena che arriva da certe vicende non chiarite della gioventù di nonno Pop. Questa trovata di inserire il sovrannaturale in un mondo umile, fatto di fango e lattine accartocciate – lo stesso mondo che aveva cominciato a delinearsi in Salvare le ossa e che qui continua con personaggi diversi – è fortissima, ma solo nella prima metà del romanzo. Con l’avvicinarsi della resa dei conti la sensazione è che Jesmyn Ward non riesca a trovare una chiusa, un punto in cui tutto questo mistero, questa spiritualità esposta, possa tornare e produrre senso. In certi momenti mi è sembrato che il romanzo fosse costruito intorno a un buco nero: tutto ciò che è concesso al lettore è girarci intorno, senza poterlo afferrare. Spetta a voi decidere se la cosa vi piace.

A chi ha letto Mentre morivo, questo romanzo potrebbe sembrare una freccia scagliata troppo in alto. Bisogna ignorare l’ambizione, a mio parere evidente, di confrontarsi con un modello gigantesco, e a quel punto tra le mani ci rimane nient’altro che un romanzo notevole, di cui difficilmente si può parlare male. Per dire, la tecnica del passaggio dei punti di vista è retta benissimo. Il mondo rappresentato appare complesso come la vita vera, pieno di riflessi. I personaggi hanno autonomia e profondità di pensiero, entrano in conflitto in modo radicale, si provocano ferite esistenziali – e per noi che sentiamo la versione dei fatti di ciascuno è impossibile puntare il dito verso il cattivo. Nonostante si parli del Mississipi, di una cultura e di un contesto lontani dai nostri, leggendo ci è dato trovare la disposizione dei piccoli e grandi sentimenti che proviamo ogni giorno.

Un giudizio vero e proprio potremo darlo però solo alla fine: aspettiamo il terzo romanzo di Bois Sauvage per capire dove Jesmyn Ward sta cercando di portarci. Il primo, Salvare le ossa era un romanzo di madri: la mamma morta per dare al mondo il piccolo Junior, la gravidanza indesiderata di Esch, il parto della cagnetta China. Canta, spirito, canta invece è, secondo me, un romanzo di padri. Di padri che mancano, di figli che si improvvisano genitori. In assenza di una figura maschile, è nonno Pop a fare da padre a Jojo, e Jojo fa da padre alla sorella Kayla. L’amore tra Leonie e Michael, intanto, si consuma in solitudine, in una macchina che corre via, lontano da casa; è un incendio che non risparmia neanche i figli, che brucia la famiglia, brucia tutto.

Pierpaolo Moscatello

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