“Feel good”: come sabotare l’editoria ed essere felici

Feel good, Thomas Gunzig
(marcos y marcos, 2020 – trad. F. Bruno)

I più, probabilmente, lo conosceranno come lo sceneggiatore della pluripremiata e sferzante pellicola Dio esiste e vive a Bruxelles; forse meno nota è, invece, la sfida che lo vide protagonista alla fiera del libro di Bruxelles del 2008: per riscattare i diritti su una sua raccolta di racconti, dovette sconfiggere il suo primo editore a colpi di karate. Thomas Gunzig ha certamente personalità da vendere, e in Feel Good (edito da Marcos y Marcos nella brillante traduzione di Francesco Bruno), non perde occasione per dimostrarlo, mettendo in scena una satira amara e irriverente della società e dell’editoria contemporanee.

Alice, la protagonista del romanzo, è cresciuta con le note di Kids in America di Kim Wilde sognando un’infanzia spensierata negli States. Invece, quello che la vita, poco generosa, le ha offerto, è stato vivere in un appartamentino cadente di Rue des Combattants con una madre depressa e disoccupata e un padre, amatissimo, troppo presto passato a miglior vita lasciando sprofondare moglie e figlia in un vuoto – soprattutto economico – assoluto.

«Fino a diciannove anni, quando cominciò a lavorare, ad Alice non mancò mai niente, non ebbe mai fame o freddo, non ci fu mai miseria, lei non fu mai una bisognosa, ma fu sempre al limite

L’espressione “al limite” si appiccica alla vita di Alice con la prepotenza di un destino che sembra ineluttabile, e che Alice accetta rimboccandosi le maniche e centellinando le sue risorse per arrivare a fine mese. Ogni mese. Anche quando, rimasta sola a crescere un figlio, Achille, deve far fronte alle incombenze quotidiane barcamenandosi con acquisti di seconda mano su eBay e le promozioni dei supermercati. Anche quando, sulla soglia dei cinquant’anni, rimane senza impiego a causa del fallimento del negozio di scarpe in cui aveva sempre lavorato. E nonostante le provi davvero tutte per permettere a suo figlio di andare a scuola e per fargli trovare a tavola le porzioni di verdura consigliate dalle riviste, si rende conto che, a forza di avvicinarsi sempre più al limite del precipizio, ha finito per abbandonarsi ad una rovinosa caduta nel burrone della disperazione. Si vede costretta a rubare, arriva anche a prostituirsi, e infine pensa -perché no?- di rubare un bebè da un asilo di ricchi per chiedere un ingente riscatto.

Tom, il co-protagonista, è tutto il contrario di Alice: cullato dalla sua mediocrità, non è un tipo a cui piaccia assumersi dei grandi rischi. È cresciuto con la convinzione di essere votato alle più grandi imprese letterarie, convinzione alimentata da una madre che nelle diagnosi degli psicologi voleva a tutti i costi vedere le problematiche del figlio come l’embrione di un talento speciale. Ed effettivamente, negli anni del liceo Tom pubblica la sua prima raccolta di racconti. Tuttavia, a questo precoce debutto, segue una produzione costante ma di scarsa qualità, che neanche lontanamente si avvicina alla gloria che aveva sempre sognato. Anche per lui inevitabilmente arriva il momento di fare i conti con la realtà e la disillusione, soprattutto ora che la moglie – che lui non ha mai amato, ma che perlomeno era l’unica, assieme alla madre, a sostenerlo nella sua carriera – lo ha lasciato per un neurochirurgo incontrato al corso di thai chi.

Il tempo che si dà l’autore per entrare nella vita dei due protagonisti, mostrandoceli fin da bambini impegnati nelle lotte quotidiane in cui non è difficile immedesimarsi, porta il lettore a un coinvolgimento sentimentale forte. Questo lo predispone positivamente a mettere da parte l’etica e la morale e fare il tifo per questi due antieroi contemporanei, anche mentre, da adulti, stanchi di dover continuamente scendere a compromessi con la vita, si accingono ad orchestrare una truffa per provare a diventare ricchi insieme: una truffa letteraria.

Due vite al limite, quelle di Alice e Tom, che al limite si incontrano. Cosa significa davvero toccare il fondo? E, se è vero che poi si può solo risalire, fin dove possono spingersi due anime che non hanno più niente, letteralmente niente, da perdere?

«Cos’è il feel good book?»
«È un “libro che fa star bene”. Grosso modo, bisogna presentare la vita da un’angolazione positiva, fare ritratti di personaggi che affrontano prove difficili ma ne escono fortificati. Si tratta di storie in cui l’amicizia trionfa sull’ avversità, in cui l’amore permette di superare tutti gli ostacoli, in cui le persone cambiano ma per diventare migliori di com’erano all’inizio…»
«Aaaaah, bisogna parlare di resilienza e cazzate simili?»

Dalla beffarda penna dell’autore belga, erede della causticità francese alla Boris Vian, prende vita una storia d’amore e di stenti, di fallimenti e rinascite, che, mentre ironizza sarcasticamente sui feel good books, è essa stessa un feel good book. Con una scrittura che non stanca, sapientemente bilanciata tra momenti di riso amaro e momenti di tagliente malinconia, Gunzig scrive un metaromanzo che pone sé stesso entro la critica sferrata contro il mondo dell’editoria odierna. In particolare, quella tutta intenta ad andare a caccia del libro che vende, al caso editoriale: il bestseller, uno di quei libri piacevolmente rinfrancanti e, allo stesso tempo, maledettamente bugiardi.

Rilevante è il fatto che i feel good books siano per antonomasia rivolti al lettore medio, che non aspetta altro se non di vedere confermate le sue convinzioni, crogiolandosi in un mondo di illusioni. Vien da sé che noi lettori siamo portati a riflettere: che tipo di lettore vogliamo essere? Da che parte vogliamo stare? Accanto alla critica dello spietato meccanismo editoriale, infatti, Gunzig non si esime dallo smascherare anche le contraddizioni di una società che vuole chiudere gli occhi di fronte alle difficoltà che derivano, soprattutto, dalle disparità sociali. E lo fa assumendo il punto di vista dei “nuovi” poveri, che spesso e volentieri sono costretti ad oltrepassare il sottilissimo limite che esiste tra moralità e istinto di sopravvivenza per poterla sfangare.

Forte di un passato da libraio, insegnante, scrittore di cinema, radio e romanzi, Thomas Gunzig fa implodere un genere, quello della Up Lit, la letteratura “che tira su”: infrange volutamente la finzione letteraria per far sì che dai suoi resti scaturiscano pungenti riflessioni sulla vita reale. Figlio di un noto cosmologo, egli lavora, come il padre, su elementi primi che trovano riscontro nella realtà di oggi: il fallimento, il vivere di compromessi, il desiderio di riscatto… con tanta sincerità e poca maniera, l’autore belga crea un microcosmo in cui va in scena una feroce e cinica commedia umana contemporanea.

Beatrice Palmieri

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