Non tutto il male. Cronache della terra inabitabile, Andrea Cassini
(effequ, 2021)
«C’è un albero, e in cima all’albero c’è una città, e al centro della città c’è un cerchio di fiamme, e nel cerchio di fiamme danzano stormi di fantasmi che hanno sempre fame, e dentro lo stomaco dei fantasmi ci sono uomini disperati, e intorno agli uomini ci sono corvi bianchi che ne beccano gli occhi come se fossero semi, e ci sono insetti che mangiano la carne dei corvi e la nascondono sotto i sassi, e nella tana degli insetti c’è un uovo azzurro e dorato, e dentro quell’uovo un fantasma avido ha nascosto la mia anima, per proteggerla. Devi trovarlo e schiacciarlo, altrimenti, io, non potrò morire.»
Il mondo di Non tutto il male è avvolto da un proliferante immaginario onirico, sospeso tra il sogno e la realtà, dove la logica della consequenzialità causa-effetto fallisce e viene sostituita dalla dimensione simbolica, caotica e surreale tipica della mitologia. Ambientato a Tula, una città in cima a un albero avvolto dalle fiamme, il romanzo segue la storia di Zero, la cui professione è quella di assistere al suicidio quelle persone che, sempre più numerose, vogliono togliersi la vita. Ammesso che di vita si possa parlare: i cittadini di Tula infatti non bevono più, non mangiano più, non hanno bisogno di respirare, dormire né quindi di guadagnare per soddisfare le loro necessità fisiologiche. A ognuno di loro è legato un fantasma, in forma di animale mostruoso, allegoria delle loro più conturbanti paure e sofferenze, che li perseguita e tortura fino al momento della loro morte.
Il carattere dell’opera è fortemente distopico, il che stride con la consapevolezza, sempre più chiara con il proseguire della lettura, che Tula sia un sogno, creato per evadere da verità inaccettabili e colpe inammissibili commesse nella vita reale. Il Cartografo, l’altro protagonista del romanzo oltre a Zero, dotato della capacità di modificare la topografia di Tula a piacimento, esprime questa perplessità, chiedendosi: se la città sull’albero è solo un sogno, perché esistono i fantasmi? Se è un sogno fatto per evadere le colpe e la sofferenza della realtà, perché le riporta al suo interno? Anziché un’evasione dal dolore, sembra più una sua rielaborazione, una distopia infernale intrappolata in un loop temporale, una tortura ripetuta senza fine e senza possibilità di redenzione.
Eppure una possibilità di redenzione da questa misteriosa colpa c’è: recuperare i sette pezzi del cadavere di un uomo, anche se non è chiara né la sua identità né quella del suo omicida (se Zero o il Cartografo o nessuno o entrambi) e ricomporlo. Per un motivo che ci è noto solamente nel finale, questa missione di ricerca è legata alla salvezza della “donna in bianco”, la donna che Zero ama e che non è chiaro se sia morta, addormentata o in un profondo coma.
Le innumerevoli incertezze presenti nella narrazione non sono dovute all’insensatezza del sogno, ma rappresentano piuttosto una condizione umana d’esistenza instabile, soggetta a cambiamenti repentini, alla fragilità della mente di Zero in bilico tra lucidità e follia.
Da questo flusso di immagini criptiche emergono però saltuariamente frammenti di verità, che si illuminano solo per qualche secondo, per poi reimmergersi nel buio, come a intermittenza, rapidi come scintille. Come in un sogno, o in un mito, ciò che appare privo di senso, assurdo e irrealistico, nasconde una verità profonda, accessibile al momento giusto e con la giusta chiave.
Il vasto apparato mitologico-simbolico del romanzo, senza dubbio l’aspetto più affascinante, trae il suo potere immaginifico dall’ispirazione a religioni e culture diverse. La missione di Zero e del Cartografo, ad esempio, che consiste nel ritrovamento e ricomponimento dei sette pezzi del cadavere di un uomo, è certamente tratta dal mito egizio di Osiride. Secondo l’antica leggenda, Seth uccise e fece a pezzi il corpo del fratello Osiride, poi ne nascose le parti per tutto l’Egitto. Sua moglie e sorella, Iside, partì alla ricerca dei diversi pezzi del corpo dell’amato, e una volta che lo ebbe ricomposto completamente, Osiride divenne il re dell’Oltretomba.
Tema centrale dell’opera è sicuramente quello del suicidio, sul quale Andrea Cassini ritorna spesso e con insistenza, specialmente nella sua declinazione di evasione dalla realtà, simile in questo al sogno, dal quale però non ci si risveglia più. C’è, tra i clienti di Zero, chi si uccide per l’odio che prova verso se stesso, e chi, paradossalmente, per amore degli altri. Ognuno di loro commissiona a Zero un biglietto d’addio, che possa essere di conforto ai propri cari e procurare loro il minor dolore possibile. Ma, come dice il Cartografo, togliersi la vita è diametralmente in contrasto con questa intenzione, il che nega la possibilità del suicidio come forma di fuga dalla sofferenza. «Se il loro obiettivo fosse davvero non recare dolore a nessuno, l’unico metodo efficace sarebbe quello di non essere mai nati.»
Quello del suicidio diventa così un pretesto per porsi domande sulla natura della sofferenza dell’uomo e della possibilità o meno di sottrarsi ad essa. Fino a che punto si può evadere dalla realtà? Si può sognare tanto forte da rendere il sogno la realtà stessa, e annullare così il peso delle proprie colpe? Se il suicidio non lo è, dato che comporta il dolore di chi rimane, è l’oblio del sogno l’unica redenzione possibile?
Gli sforzi e i tentativi di Zero di evadere o di affrontare il suo passato, di trovare una spiegazione al suo dolore che gli dia espiazione, si rivelano infine inutili: «il dolore non ha niente da insegnare», spiega ancora una volta il Cartografo, «non tutto il male ha una ragione, non tutto il male è alieno, certe volte esiste e basta, certe volte i fantasmi hanno fame e mangiano insieme a noi.»
Davide Lunerti