Nessuno ha figli: “Il bambino di pietra” di Laudomia Bonanni

Il bambino di pietra, Laudomia Bonanni
(cliquot, 2021)

La prima pubblicazione de Il bambino di pietra di Laudomia Bonanni risale al 1979: in quell’anno, il libro si classificò terzo al Premio Strega e fu considerato per il Premio Viareggio. La carriera dell’autrice aquilana era già ben avviata: alle sue spalle diverse pubblicazioni di successo e l’entusiasmo di Eugenio Montale, che recensì la raccolta di racconti Il Fosso sul quotidiano milanese Corriere d’informazione del 6 dicembre 1949 profetizzando «Questa Laudomia farà certo strada».

Nonostante l’approvazione del pubblico e della critica, Bonanni restò sempre ai margini della realtà letteraria italiana. Aspra e solitaria, interruppe ogni rapporto con la scrittura quando Bompiani rifiutò di pubblicare il suo ultimo romanzo, La rappresaglia.

Oggi le opere di Laudomia Bonanni sono rarità da mercatino dell’usato, ma cliquot ripropone Il bambino di pietra in una nuova edizione, arricchita da un’introduzione di Dacia Maraini. La protagonista, Cassandra, definita dall’autrice stessa la protagonista di tutto quello che ho scritto, racconta se stessa e la sua famiglia con una prosa aspra e solitaria come l’autrice, fatta di frasi brevi e secche come spigoli, sottintesi e dettagli a cui prestare attenzione.

«E va bene, provo a scriverlo» recita l’incipit del romanzo, e infatti la scrittura è per Cassandra un metodo di cura per la nevrosi femminile che fa da sottotitolo all’opera. Alla donna è stato affidato dal suo psicanalista il compito di scrivere tutto ciò che vorrebbe dirgli, e Cassandra obbedisce, scandaglia la sua infanzia a partire da ricordi che si inanellano con un ordine apparentemente casuale e costruisce un ritratto lucido e spietato della sua vita famigliare.

Se la Cassandra classica era stata condannata a profetizzare il futuro senza essere creduta, la Cassandra di Bonanni sembra destinata a interpretare il passato in modo diverso da tutti quelli che la circondano, condividendo con la profetessa troiana una profonda solitudine. È sola rispetto alla sua famiglia: una madre che dichiara apertamente di non averla voluta, un padre passivo dai contorni sfumati, i fratelli sicuri del loro modo di stare al mondo. È sola anche nella vita coniugale: il matrimonio tardivo e tiepido con un uomo molto più grande di lei non ha risvegliato istinti sessuali né sentimentali, ma ha solo lenito in parte il dolore di non essere normale.

 Soprattutto, la solitudine è legata all’assenza dei figli. La non-maternità di Cassandra, argomento mai affrontato esplicitamente ma presente in ogni episodio da lei raccontato, ne determina il rapporto con gli altri e la percezione di sé. È impossibile evitare di essere definita dalle funzioni biologiche: il figli che la donna non ha messo al mondo assumono quasi una forma solida, tangibile come il bambino di pietra scolpito da un poetico marmista sulla lapide di un cimitero remoto, e lo spettro della maternità assume nella sua vita un ruolo centrale e ingombrante.

«Eppure alla natura non ci si sottrae. Non si resiste impunemente alla natura, non si ama impunemente, non si ha impunemente un figlio: alla donna non è concessa l’impunità.» (p.124)

Nella vita di Cassandra non ci sono figure materne positive. Scevra da qualsiasi retorica, Bonanni descrive un mondo di donne che fanno figli per acquisire un posto solido nella società: farne solo sei, come la madre di Cassandra, è troppo poco; arrancare nella loro gestione è deprecabile. Un matriarcato tossico in cui non c’è spazio per la solidarietà femminile, soffocata dal pudore, dall’invidia e dal continuo bisogno di affermarsi attraverso gli occhi degli uomini, siano i mariti o gli amatissimi e viziatissimi figli maschi.

Il tema dell’aborto – che, alla prima pubblicazione del romanzo, era diventato legale in Italia da meno di un anno – si affaccia con coraggio nella narrazione: nella realtà rurale in cui vive Cassandra viene tacitamente accettato come una misura necessaria perché il corpo non sia totalmente distrutto dai continui parti, ma è anche una prova di debolezza, come dimostra la reazione generale dopo la morte di una zia nel tentativo di interrompere una gravidanza.

«Qualcuno osservò che oggi stiamo tanto a preoccuparci di fare un figlio, loro si mettevano sotto le coperte e lo facevano. Loro erano i vecchi. Si rievocò l’esempio della nonna, dodici figli creati, morta a ottant’anni di morte naturale. E questa dopo tre s’ammazza.» (p.74)

Cassandra è sospesa tra il disprezzo per il mondo in cui e cresciuta e l’incapacità di affermare con forza la propria idea sulla femminilità, in bilico tra un’epoca di cambiamenti che l’hanno investita quando era già troppo adulta e la certezza che il modello del passato non può funzionare. La maternità tradizionale viene dipinta come una schiavitù a cui la protagonista si oppone con forza: nessuno ha figli, conclude, affermando così l’assurdità insita nella pretesa di possedere un altro essere umano.

L’unico sollievo alla solitudine viene dalla solidarietà femminile, impossibile tra coetanee, ma in grado di stabilire un legame tra una generazione e la successiva. Spetta alla nipote Amina, rossa di fuori e di dentro, spregiudicata e pronta a tutto per raggiungere i suoi obiettivi, dare conforto all’inquietudine di Cassandra e restituirle un ponte sul futuro che dia compiutezza alla sua esistenza.

Arido e ineluttabile come una profezia, Il bambino di pietra è un piccolo capolavoro di introspezione e analisi sociale. La sua ripubblicazione ci permette di collocare Laudomia Bonanni al posto che le spetta, di fianco alle grandi autrici del Novecento italiano, e a sollevare dall’oblio una tassello fondamentale della nostra letteratura.

Loreta Minutilli

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