Pancia d’asino, Andrea Abreu
(Ponte alle grazie, 2021 – Trad. I. Carmignani)
Pancia d’asino, primo romanzo della scrittrice canarina Andrea Abreu, è il racconto dell’amicizia di due bambine di un barrio periferico di Tenerife, e condensa in una narrazione breve, rapida e incisiva molti “grandi” temi: la pubertà, l’appartenenza, l’identità, la globalizzazione. La scrittrice riesce ad affrontare la vita delle sue protagoniste intrecciando al tema universale della crescita le questioni geopolitiche e sociali del mondo a loro – e, dunque, a noi – contemporaneo.
La “panza de burro” che dà il titolo al libro è un fenomeno locale del nord di Tenerife, un accumulo di nuvole che si verifica nella stagione estiva e che porta a un microclima umido e piovigginoso, una cupola grigia che divide dal resto dell’isola, dove splende il sole. All’interno del libro questo fenomeno atmosferico si fa limite geografico e psicologico, poiché il confine che delimita il mondo delle protagoniste – il barrio in cui sono nate – e il resto dell’isola, in cui gli adulti si recano per lavorare e i turisti in vacanza.
Le due protagoniste – la narratrice e l’amica Isora – trascorrono la loro estate in continui andirivieni tra le vie del quartiere, consapevoli di non poterlo lasciare senza l’autorizzazione di un adulto, eppure coscienti dell’esistenza di un mondo molto più grande. La loro esistenza è divisa tra due forze: la prima è quella centripeta, le trattiene all’interno del barrio, nel mondo delle nonne, delle anziane che sanno togliere il malocchio, in cui si accorda grande rispetto alla Vergine della Candelaria (patrona delle Canarie); la seconda è quella centrifuga che si manifesta tramite simboli della modernità globale: le barbie, i pokémon, l’aula computer da cui si può accedere a messenger, il gameboy, l’ossessione per gli Aventura. Questi due mondi riescono a intersecarsi tra di loro, in una commistione tra modernità e tradizione che è indice del processo di globalizzazione in atto: «Isora portava la catenina della Vergine della Candelaria perché era la vergine che preferiva, come chi ha un pokemon favorito o una braz favorita, o porta come ciondolo un ciarmander piccolino» (p. 21).
Quella d’asino non è l’unica pancia ad assumere rilevanza all’interno del romanzo: l’ingresso nella pubertà avviene anche tramite la scoperta del proprio corpo, dei suoi moti interiori e degli effetti esteriori. Corpo che è al contempo territorio misterioso e temibile, mezzo tramite cui sancire la felicità della propria vita. Il primo capitolo del romanzo è incentrato sul vomito di Isora, che tra le due protagoniste è la più fisicamente sviluppata e che soffre di bulimia, strumento compensativo all’abbuffata dell’ultimo giorno di scuola. Il disordine alimentare di Isora spaventa la narratrice – soprannominata shit dall’amica, «perché la merda era una cosa meravigliosa» (p. 59) – che al contempo però ne condivide l’ideale canone di magrezza invidiato alle attrici delle telenovelas.
Il corpo desta curiosità e timore non solo in quanto meccanismo digestivo, ma anche per l’insorgere delle pulsioni sessuali, «un terremoto che annuncia l’eruzione del vulcano» (p. 73). La scoperta del piacere fisico passa anche attraverso la reciproca esplorazione del corpo, che avviene con la naturalezza e l’ingenuità dell’infanzia. Il corpo dell’altro diventa la cifra per conoscere sé stessi, per segnare una distanza fisica tra la propria identità e l’alterità: se la narratrice è naturalmente portata a un meccanismo di imitazione e simbiosi con l’amica Isora, proprio nella fisicità dell’altra bambina e nella sua precocità avverte l’abisso che le separa («Mi resi conto che Isora era da un’altra parte, un posto di cui io non riuscivo a vedere nemmeno l’inizio e per un attimo ebbi paura, paura che si accorgesse della mia innocenza, che si stancasse della mia testa che annuiva e della mia bocca che si chiudeva», p. 93).
Pancia d’asino è un romanzo in cui l’indagine del limite, o meglio dei limiti, rappresenta l’unico metodo efficace per accedere al mondo: crescere significa riuscire a superare i confini – psicologici, geografici, sociali – da cui si è circondati.
Enrico Bormida
Grazie per la bella recensione 😊
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