Vite negate: gli amori omosessuali del passato

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Vite negate, Franco Buffoni
(FVE editori, 2021) 

«Se proprio vuoi, prenditela con la Natura creatrice e condannala. Perché è lei che ci crea così come a te non piace, è lei la ‘colpevole’. E tu, piccolo uomo insignificante, osi metterti contro di lei?» (pag. 100).

Così recita l’invettiva di Karl-Heinrich Ulrichs in difesa della sua opera Amore sessuale tra uomini come enigma della natura, diretta a un contemporaneo scandalizzato dal suo pensiero anticonformista. Era in effetti una posizione piuttosto avanguardista, la sua, che dichiarava lecito l’amore omosessuale e incoraggiava studi e approfondimenti scientifici a riguardo.

Le sue idee, così moderne, fiorirono in tempi ancora troppo acerbi (parliamo della seconda metà dell’800) per poter essere accolte come avrebbero meritato, nonostante le ferventi conferenze sull’argomento organizzate in diverse città tedesche. Ma il suo impegno politico e il suo  coming-out del 1867, considerato il primo della storia mondiale, hanno portato a ricordarlo oggi come il più grande pioniere del movimento LGBT+. «Sapere le cose e non dirle quando si è in grado di dirle, è cosa vile e indegna. Certo, avrei potuto starmene zitto, ma rifiutai di tradire la mia missione. E a Monaco nell’agosto del 1867 agii temerariamente anche se il cuore in petto mi batteva forte» (pag. 102).

Così,  il coraggio di questo personaggio viene raccontato in Vite negate di Franco Buffoni, un saggio che raccoglie le biografie degli omosessuali dall’antichità classica ai giorni nostri, o meglio, unicamente quelle delle quali ci è pervenuta testimonianza scritta. Ulrichs è infatti un caso più unico che raro: non occorre ricordare che, grossomodo fino al Sessantotto, tutto ciò che faceva riferimento all’omosessualità veniva sistematicamente ostacolato e censurato dalla sfera pubblica.

Legge, scienza, religione e morale andavano di pari passo, quando si trattava di ostracizzare gli omosessuali, e a causa di questo chissà quante fonti abbiamo perso, quante vite, amori, quanti uomini gay non hanno lasciato traccia; spesso anche per volontà degli stessi che, nel rischio di venire torturati, imprigionati o uccisi, furono costretti a vivere il loro amore nella più estrema segretezza.

Oltre a chiederci quante sorelle avesse avuto Shakespeare, possiamo quindi chiederci di quanti suoi fratelli gay la storia ci abbia privato. Vite negate ci restituisce i ritratti degli omosessuali che, nonostante i contesti storici avversi, sono riusciti ad arrivare fino a noi, spesso attraverso la scrittura e la poesia. Come lo stesso Shakespeare, ad esempio, i cui sonetti dedicati a giovani fanciulli hanno rischiato di pervenirci sfigurati, declinati al femminile anziché al maschile in una pubblicazione del 1640, per mascherare lo scandalo che ne avrebbe potuto conseguire.

L’espediente di declinare al femminile i termini originali in maschile è una pratica di mistificazione piuttosto comune, ci spiega Buffoni: fino a tempi molto recenti, ad esempio, le uniche traduzioni delle lettere di Chopin di cui disponevamo erano frutto di questa tecnica, che in aggiunta declassavano ad amichevoli le sue dichiarazioni d’amore nei confronti del suo adorato Tytus Woyciechowski.

Ma più di frequente gli stessi autori compivano una sorta di autocensura, immedesimandosi nei personaggi femminili dei loro romanzi per non destare sospetti, come accadde a Max Beerbohm e Aldo Palazzeschi. In “alternativa”, anziché censurare le proprie opere, gli scrittori potevano pur sempre nasconderle al pubblico, com’è successo a Maurice (1971) di Forster o a Ernesto (1975) di Saba, entrambi pubblicati postumi, solo dopo molti anni dalla morte dei loro autori.

Diverse per luogo e tempo, le storie raccontate appaiono quindi tragicamente ed eloquentemente simili. A dare voce alla sofferenza di molti è la lettera di Tchaikovsky riportata da Buffoni – una testimonianza rara visto che, allora come oggi, gli accademici russi non divulgano con facilità questo tipo di corrispondenze “compromettenti”, preferendo tenersele ben strette nei loro archivi.

«È per me estremamente doloroso sapere che gli altri mi compatiscono», confessa Tchaikovsky al fratello, anch’egli omosessuale, «e ancor più che mi perdonano: di che cosa, poi, non si capisce, dato che so bene di non essere colpevole di nulla. E ancor più spaventoso è per me pensare che coloro che mi amano, a volte, giungono persino a vergognarsi di me» (pag.90).

L’intento di Vite negate, come annunciato nella prefazione, è quello di ottenere una cronologia dell’omosessualità, o meglio, una storia degli omosessuali. Lungi dall’essere un saggio di approfondimento storico, l’opera mira piuttosto a costruire un senso di identità e appartenenza attraverso la memoria scritta. Ogni comunità nasce e si forma attraverso la consapevolezza del proprio passato, senza la quale la sua identità sfuma, si perde. È un pericolo che non bisogna correre, specialmente in un periodo così cruciale per la comunità LGBT+.

Sebbene infatti grandi passi in avanti siano stati compiuti, come illustrano gli esempi riportati da Buffoni, che descrive la notevole presenza di membri dichiarati della comunità LGBT+ alle olimpiadi di Tokyo 2020, l’influenza della mentalità omofoba continua a manifestarsi e a negare ancora oggi agli innamorati di poter stare insieme: non manca in Vite negate la diatriba sulla sepoltura di Verlaine e Rimbaud che, a causa dell’imposizione arbitraria di una pro-pronipote di quest’ultimo, hanno perso un anno fa la possibilità di essere sepolti insieme al Panthéon.

Accanto agli autori notoriamente gay, che hanno avuto relazioni omosessuali rese incontestabili dalle evidenze storiche, Buffoni racconta anche alcune omosessualità “sospettate”, tramite l’interpretazione della biografia, degli scritti, e del contesto sociale, come nel caso di Cesare Pavese.

Ad una prima impressione può sembrare una forzatura, invece anche quest’operazione di Buffoni ha una finalità militante: il suo vuole essere un tentativo di ribaltamento della classica mentalità per la quale ognuno è eterosessuale fino a prova contraria. Anziché dare per scontata l’eterosessualità di un personaggio, come il sistema eteronormativo impone nella nostra visione delle cose, si prende in considerazione un nuovo punto di vista che potrebbe mettere in luce aspetti diversi e far emergere analogie nascoste. Studiando un personaggio, ci chiede Buffoni: «ci sono evidenze che sia stato eterosessuale? Questa è la domanda che ci si dovrebbe porre. Partendo dalla consapevolezza “Storica” che, mentre un eterosessuale è “Naturalmente” indotto a manifestare il proprio orientamento, un omosessuale è inevitabilmente costretto dal contesto omofobico a celarlo. Persino a sé stesso» (pag. 173).

Davide Lunerti

Immagine di copertina: Coin de table, Henri Fantin-Latour, 1872 , olio su tela, Musée d’Orsay. https://creativecommons.org/licenses/by/2.0/deed.en

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