“L’editore presuntuoso”: fare i libri è molto più che stamparli

Sandro Ferri, L’editore presuntuoso
(Edizioni e/o)

Sandro Ferri, L’editore presuntuoso

Negli ultimi anni abbiamo assistito al progressivo venir meno del ruolo della mediazione. Questo è successo in molti ambiti del variegato mondo della comunicazione. È accaduto nel giornalismo, in politica e, sostiene Sandro Ferri (fondatore di e/o, insieme a sua moglie), anche in editoria.

La mediazione non è altro che la capacità di saper selezionare, tagliare, ammorbidire, forgiare, quello che accade sul campo, col fine di restituire alla società una narrazione più complessa e completa di quella che può invece consegnarci l’immediatezza. Senza volare troppo in alto, ed entrando nel ragionamento di Ferri: ciò che sta sempre di più scomparendo è l’editore-soggetto. Ovvero quel «tipo (forse presuntuoso, forse romantico) che legge i manoscritti […], vi applica sopra il proprio marchio e pretende (perlomeno spera) che vengano letti da lettori paganti» (p. 10). In altre parole, l’editore-soggetto coincide con quella figura – sì, forse un po’ romantica e idealizzata – che cerca e scova libri da pubblicare, li lavora insieme all’autore, rendendoli magari meno grezzi, ci appone su il suo nome e il suo sforzo, facendosi riconoscere tramite quella pubblicazione. Questo meccanismo, fatto di professionalità, sapienza, passione e anche di talento, è stato preso d’attacco da diversi attori. Ferri li chiama meno prosaicamente: gli omicidi.

Chi dunque ha ucciso queste (e tante altre) case editrici idealiste e artigiane? Cominciamo da due vecchie conoscenze del capitalismo criminale: la finanza e l’immobiliare. (p. 21)

Ma l’omicida su cui si scaglia maggiormente Ferri è il marketing, ovvero la convinzione per cui qualsiasi cosa si possa vendere, sottovalutando così il gusto e la capacità dei fruitori/lettori di costituire una comunità pensante. Ferri è altrettanto consapevole che il marketing, oramai, sia necessario per emergere nella mastodontica offerta editoriale italiana (e non solo), ma proprio per questo rivendica un ruolo fondamentale per l’editore-soggetto. Il prodotto che si deve cercare di vendere dev’essere di assoluta qualità. 

Per confermare empiricamente le sue tesi, l’autore ripercorre alcune tappe della propria esperienza come editore, gli sbagli, gli azzardi riusciti, quelli che gli hanno portato in tasca meno di quanto ci si aspettasse. Le pagine sulle vicende interne alla e/o sono godibilissime e mostrano sempre come nella testa di Sandro e Sandra ci fosse un progetto ampio, coerente e ben delineato. Che questo basti per sopravvivere e mantenere in piedi economicamente un’azienda, non è scontato. 

Insomma, ricapitolando: se Adelphi è stato un modello straordinario quanto a coerenza e autonomia, quasi l’editore-soggetto per antonomasia di cui scrivevo all’inizio, meno ci è piaciuto il suo profilo di editore elitario. (p. 164)

La coerenza del catalogo – cioè la riconoscibilità di quello che si pubblica, “il marchio” – per Ferri non si trova soltanto nella qualità dei libri, nel loro contenuto, bensì anche nel lavoro fatto prima che un libro arrivi nelle mani dei lettori. I passaggi che un testo attraversa, dalla scelta alla promozione post-pubblicazione, sono decisivi nel mostrare all’esterno una continuità di intenzione, un modus operandi di cui fidarsi. 

Per questo, nonostante il catalogo di e/o sia mutato nei decenni, è impossibile perdersi nelle scelte editoriali fatte dai Ferri. Infatti, se negli anni Ottanta e/o si era focalizzata sulla letteratura dell’Est, gli anni Novanta, dopo la caduta del Muro, furono un decennio di esperimenti e novità, compreso il primo romanzo italiano: il fortunatissimo L’amore molesto di Elena Ferrante. Sono però gli anni Duemila a segnare «la fuga dal gruppo»: alcuni libri molto importanti (tra cui I giorni dell’abbandono della Ferrante, ma anche i libri di Massimo Carlotto che hanno dato vita al noir mediterraneo) permettono alla casa editrice di superare le difficoltà e di uscire dalla mischia.

Poi nel settembre 2007, arriva nelle librerie, improvviso e sconvolgente, l’angelo sterminatore: L’eleganza del riccio. Parte con il piede abbastanza leggero: 130.000 copie vendute entro la fine dell’anno. Nel 2008 altre 620.000 copie. Nel 2009 arriviamo a un totale progressivo di quasi un milione di copie. Il libro ci cambia la vita, ripiana i debiti, ci proietta al centro della scena. (p. 147-8)

Questo enorme successo, insieme a quello portato da Elena Ferrante e dagli adattamenti cinematografici dei suoi libri, coinciderà con un allargamento degli obiettivi e delle responsabilità, con la strutturazione di un nuovo piano industriale che prevedrà anche la costituzione di una casa editrice americana e una europea. Ciononostante – rivendica Ferri – la e/o ha continuato a lavorare nello stesso modo: essendo, per quanto più possibile, un editore-soggetto

Tutta l’ultima parte del libro è una descrizione del passaggio che e/o sta vivendo. Eva Ferri, la figlia di Sandra e Sandro, che «ha vissuto fin da piccola dentro la casa editrice» sta «creando una nuova impresa editoriale dentro la vecchia» (p. 191), sta ereditando tutto il portato d’esperienza e di riconoscibilità che i genitori hanno avuto la forza di costruire e rivendicare. Un’editoria fatta di scelte, di attenzione verso il lettore (quello “già acquisito” e quello invece “ancora da acquisire”), di vicinanza a un ideale alto dell’editoria.

Il libro di Ferri è, in definitiva, un breve e per niente pomposo manifesto, ma anche un diario nel quale l’editore intende fissare i momenti salienti della sua decennale esperienza, mettendoli a disposizione sia di chi intende intraprendere una carriera editoriale, sia dei lettori interessati ai meccanismi del mondo editoriale.

L’editoria, per come l’hanno intesa i Ferri, è una storia di fortuna e ostinazione, bravura e immaginazione. Questi quattro ingredienti cambiano il loro peso a seconda del punto di vista dal quale si osserva questa vicenda. Sandro Ferri è pago nell’affidare all’uno o all’altro elemento un ruolo decisivo: come insegnavano gli stoici forse la formula migliore risiede nell’equilibrio (soprattutto fra il sogno di pubblicare libri che si amano e il far quadrare i conti).

Se è vero che con questo libro Ferri ha disegnato un punto quasi definitivo nella sua carriera, passando il testimone a sua figlia, è anche vero che al contempo l’editore di Elena Ferrante ha voluto marcare la differenza con quella indistinta massa editoriale che ogni anno produce quintali di libri invenduti. Il passo successivo dell’indagine aperta da questa testimonianza è capire, davvero, perché in Italia i lettori forti siano sempre così pochi e perché, in piena contraddizione con questo dato, si pubblicano sempre così tanti libri. 

Saverio Mariani

Photo by Jason Leung on Unsplash

1 Comment

  1. Forse, oltre che di lettori forti, avremmo bisogno di tanti lettori medi che magari non leggono tanti libri al mese ma leggono scegliendo consapevolmente, senza affidarsi solo al passaparola dalla parrucchiera o ai suggerimenti degli algoritmi. Tanti buoni lettori, magari abituati a scuola a scegliere con attenzione le letture, darebbero un senso alla pervicacia di figure come quella di Sandro Ferri che si ostinano a essere editori-soggetto

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