Il profilo dell’altra, Irene Graziosi
(e/o, 2022)
C’è uno specchio per metà in frantumi, sulla copertina de Il profilo dell’altra, il primo libro di Irene Graziosi. È un rettangolino riflettente, appena opaco, che ricorda le confezioni sottovuoto dei cereali. Ci si può giocare a specchiarsi, avvicinandolo o allontanandolo dal viso, i tratti sottilmente alterati. Il contenuto del libro è poco oltre, che aspetta di essere letto una volta esauritosi il gioco del suo involucro esteriore.
Il progetto grafico della copertina è un riferimento, piuttosto scontato, sia al titolo del romanzo che a quanto viene raccontato. Per i suoi temi, Il profilo dell’altra può essere definito, fuor di dubbio, un romanzo contemporaneo; dal pinkwashing delle grandi aziende di bellezza all’onnipresenza dei social, dal femminismo da tastiera alla rinnovata curiosità per gli acidi, Graziosi coglie ogni fenomeno con l’attenzione del saggista e la prosa del narratore. L’autrice, infatti, (che è anche la collaboratrice della youtuber/influencer Sofia Viscardi, nonché ideatrice del loro progetto editoriale Venti) sceglie la forma del romanzo e parte dalla sua esperienza di vita senza farne materia di autofiction o morboso memoir; per lei è sicuramente materiale d’ispirazione, per il lettore un’eco che lo accompagna nelle prime pagine, per poi sparire.
Una delle due protagoniste, Gloria, è una giovanissima star di internet, nata youtuber e diventata influencer sotto la spinta imprenditoriale della nonna. L’altra, la voce narrante del romanzo, Maia, è una ventisettenne senza soldi e senza grandi obiettivi che, quasi per caso, comincia a lavorare per la prima. Il suo punto di vista è cinico, sprezzante e disincantato; Maia sfoggia una saggezza da adulta che infrange il muro di ottimismo vacuo che gravita intorno a Gloria, e per questo la conquista. Le due iniziano una relazione in cui, alternativamente, ciascuna di loro assumerà il ruolo di predatrice o preda. I personaggi sfuggono al rischio (avvertito, perlomeno all’inizio) di assomigliare a dei cliché perché, oltre le pagine dissacranti sulla virilità fallita degli uomini che frequentano il pub dove lavora Maia, o sul successo pop e improvviso dei manuali sui funghi, quel che riesce bene a Graziosi – ciò che inquadra meglio descrivendo non solo la relazione tra Gloria e Maia, ma quasi tutte quelle che popolano il libro – è raccontare il bisogno feroce di plasmarci a immagine e desiderio dell’altro.
Deformarsi per poter coincidere con la figura idealizzata che qualcun altro ha di noi è un’esperienza che potrebbe suonare familiare a molti. Questo processo ambivalente, in cui lasciamo che chi ci è di fronte – letteralmente, o mediato da uno schermo – eserciti un potere sulla nostra persona mentre, allo stesso tempo, noi facciamo la stessa cosa per ottenerne in cambio sesso, follower, approvazione, è ovunque nel libro di Graziosi. È nella politica commerciale che soggiace alle collane “Pop” delle grandi case editrici; è nella relazione di Gloria con i suoi follower e con le sue amiche influencer (e i loro call-out, che rimbalzano da un profilo social all’altro); è nel rapporto di Maia col suo fidanzato Filippo, affermato professore di filosofia parecchio più grande e meglio inserito di lei. Qualsiasi lettrice nata e cresciuta negli anni Novanta non potrà che sussultare, riconoscendo (perché l’ha vissuto, perché l’ha sentito raccontare da un’amica) ciò che Maia vive con Filippo e per Filippo: l’essere insieme suadenti e sciocche, erotiche e materne, disponibili e sfuggenti, tutto per qualcuno che esiste solamente nella nostra testa, lì dove si trova anche la figurina vuota che abbiamo creato per lui/lei. Maia non ha avuto una vita familiare facile, ma ciò che più colpisce di lei, come dice Gloria, è che è «tanto intelligente, ma quando si tratta di capire cosa ti dicono davvero le persone divent[a] scema» (pag. 188).
Graziosi rende possibile l’identificazione con un io narrante come quello de Il profilo dell’altra – respingente, talvolta cattivo – grazie a due espedienti principali. Il primo è quello di illuminare ogni tanto Maia attraverso i commenti e le reazioni (di solito buone, ingenue, perdonanti, protettive) di Gloria: l’una il riflesso dell’altra, appunto, l’una l’opposto dell’altra, una differenza che misura e scava nella vita di entrambe. Il secondo, come insegna ogni parabola del cattivo venuta dopo Breaking Bad, è raccontarci le sue pene e le sue debolezze, che assomigliano tremendamente alle nostre.
Un gioco di specchi, dove attraversarne uno significa solamente gettare uno sguardo oltre le spalle e non trovarvi altro che vuoto. Il vuoto non è solo quello che mangia la relazione di Maia e Filippo: vuote sono molte conversazioni, vuoti sono i messaggi di positività, vuota si sente Gloria ogni volta che performa sui social, e così via. Il vuoto è esibito e dichiarato più volte, nel corso delle 230 pagine del romanzo; il vuoto rifuggito, desiderato, cercato è ciò che fa da contrappunto al vortice di battute taglienti di Maia e alla bontà, naif per accostamento, di Gloria. L’unico modo, per riempire questo vuoto o per non esserne divorati, è divorare a nostra volta. Ancora e ancora.
Così, quello che potrebbe apparire (e in parte è) un racconto di denuncia sulle idiosincrasie del nostro presente si trasforma in una favola nera di formazione, che saluta il lettore con un malessere che fatica ad andar via. Un malessere che è un canto lamentoso di dubbio e precarietà, vittimismo e meschineria, dove il suicidio non è un «un atto violento, energico, disperato, [ma] lento e zuccherino, come una stecca di liquirizia da succhiare piano» (pag. 159). Un malessere che abbiamo accolto e salutato contemplando il nostro profilo vuoto allo specchio, così come fanno le due protagoniste.
Alessia Sciannamblo