Un tentativo di rimuovere la rabbia

La raggia, Mattia Grigolo
(Pigdin Edizioni, 2022)

«Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient’altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia», scrive Agota Kristof ne La prova, secondo quaderno de La trilogia della città di K. Questa citazione è funzionale a introdurre La raggia di Mattia Grigolo, uscito a giugno per Pidgin Edizioni, in quanto le due opere presentano svariati punti di contatto.

Da un punto di vista stilistico, hanno in comune l’espediente del quaderno: nel caso della trilogia, tre quaderni che più si scorrono e più allontanano il lettore dall’idea della verità; nel caso de La raggia, tre quaderni che si leggono in ordine sparso, con pagine strappate che si ritrovano solo successivamente e l’inserto finale di una lettera, in una struttura che decostruisce ogni idea di linearità della trama.

Da un punto di vista tematico, le due opere hanno in comune il fatto che i quaderni vengono usati dai protagonisti per tracciare la propria storia, che in entrambi i casi è una storia di abitudine e resistenza alla violenza della vita. Infine, c’è un forte collegamento anche emotivo: l’angoscia è il sentimento che fa da sottofondo alla narrazione e che permane nel lettore sia durante sia dopo la lettura.

I quaderni de La raggia sono scritti da un io-narrante giovane e solo parzialmente alfabetizzato, che vive in una baracca nel fitto del bosco, in prossimità di un piccolo paese che si configura come un mondo chiuso la cui comunità è autosufficiente e refrattaria alle incursioni esterne, e in cui vige il principio dell’omertà. L’ambientazione sembra essere un richiamo agli stilemi veristi di Verga, di cui compare una citazione in esergo al libro, e il protagonista rientra sicuramente nella figura del vinto: emarginato sociale, estraneo alla vita del paese, alieno all’idea di affetto famigliare e incatenato in un tragico destino che riesce ad affrontare senza mai ricoprire il ruolo della vittima. La sua raggia (rabbia, nel dialetto siciliano) è dovuta a una trasmissione intergenerazionale della violenza («è la stessa rabbia che c’ha quella bestia, che me l’ha passata con il sangue suo e le bastonate botte», p. 6): nato e cresciuto in un contesto famigliare di abuso fisico ed emotivo, con un padre incapace di esprimersi se non picchiando («quello pensa coi pugni e le sberle, non c’ha le parole per pensare», p. 50), l’io-narrante si ritroverà a riproporre gli stessi meccanismi nella sua storia d’amore.

L’esigenza di scrittura del protagonista nasce proprio nel contesto di violenza e di isolamento. I quaderni sono un modo per cercare di incanalare la rabbia, un tentativo di giungere alla consapevolezza di sé e dunque accettare la propria natura, la propria ignoranza e le conseguenze dei propri gesti. Mattia Grigolo riesce a esprimere in modo autentico i tormenti interiori del suo io-narrante, con pagine che presentano parole cancellate e subito riscritte – che suggeriscono una vergogna per la propria carenza lessicale – nonché alcune pagine, coincidenti con l’evento cardine della trama, che vengono strappate (come se, insieme con esse, si potesse rimuovere anche il gesto commesso). I sentimenti negativi del protagonista sono incanalati nella figura di una volpe, animale-guida che presenta il volto della madre e che instaura un dialogo allucinato con il ragazzo, la cui morte nella prima pagina (l’ultima del secondo quaderno) annuncia la fine della vicenda: «ho trovato dentro il bosco la carcassa della volpe e ho capito subito che è finita», p. 5).

La sequenza cronologica a ritroso e l’inizio in medias res, con i quaderni (che appaiono nell’ordine secondo, primo e terzo) letti dall’ultima alla prima pagina, crea uno stato di tensione perpetuo. Una volta conclusa la prima lettura, svelta e agevole grazie all’esiguità delle pagine, può essere un esperimento interessante rileggere una seconda volta il libro rispettando la successione degli eventi. Smaltita la componente di suspence, si riesce a cogliere meglio l’accuratezza nella costruzione del personaggio e della sua profondità psicologica, a fronte di un’abilità di scrittura che non necessita di troppi espedienti per catturare il lettore.

Enrico Bormida


Immagine in evidenza: Jean-Michel Basquiat, Jailbirds, 1983 © The Estate of Jean-Michel Basquiat.

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