Tutto il peso del mondo addosso

Il paradosso della sopravvivenza, Giorgio Falco
(Einaudi, 2023)

Federico Furlan, per il lettore e per tutti in paese, è Fede il ciccione.
Nato e cresciuto per gran parte della vita a Pratonovo, località immaginaria di una vallata del Nord-Italia, immune a qualunque cambiamento tenti di importare la modernità. I suoi genitori sono personaggi opachi, che si accontentano di desideri blandi e conversazioni scarne. Non si confrontano mai su quello che da sempre vedono come un problema che continua a crescere e gonfiarsi e lievitare: il peso di Fede.

La trama simula l’architettura del romanzo di formazione: il racconto si dirama a partire dalla nascita del protagonista passando poi per l’infanzia, il turning point dell’adolescenza fino all’età adulta. Eppure in questo iter non si dispiega alcuna parabola: l’avanzare di Fede lungo la vita è moto inerziale.
E lo stesso andamento ha pure l’aumentare vertiginoso del suo peso: a un certo punto si ha l’impressione che si arresti alla soglia dei centocinquanta chili, ma è solo perché la bilancia dell’unico medico del paese non registra pesi superiori.

È proprio il dottor Cles a spiegare a Fede “il paradosso della sopravvivenza”: «Secondo questa teoria, ciò che ci uccide ci protegge, almeno in una prima fase, per eternizzare non certo la vita, quanto la sopravvivenza, come se sopravvivenza e vita fossero scisse» (p. 68).
Teoria che suona come la diagnosi di una bizzarra patologia che, piuttosto che stroncarlo, lo tiene in vita e lo obbliga a esistere esclusivamente attraverso a quel corpo di cui si vorrebbe disfare.

Da adolescente Fede affronta anche una sorta di educazione sentimentale quando si infatua di Giulia, una «mezza anoressica» che lo inchioda col suo tirannico fascino a un rapporto masochistico: si concede nuda e intoccabile ai suoi occhi, purché anche lui stia nudo a ingozzarsi senza sosta davanti a lei.
Fede scopre così che per lui il desiderio può esprimersi solo come mortificazione, o come fame.

Consegue poi il diploma, la Laurea in Storia, ma in lui non svetta mai alcuna ambizione.
Pur quando -per affrancarsi dalla schiavitù della relazione con Giulia- si trasferisce a Milano, allo spostamento da un luogo a un altro non corrisponde automaticamente un cambiamento di stato. Del resto, l’unico cambiamento di stato davvero salvifico sarebbe quello non tanto di dimagrire, quanto di annullare la presenza del corpo, evacuare da quel macroscopico ammasso di materia.

A Milano Fede fa esperienza dei meccanismi imbriglianti del lavoro, finendo impiegato in un’azienda che affibbia tag a video porno e a previsioni meteo. Di tanto in tanto nel corso del romanzo fanno incursione occasionali testimonianze di altri personaggi a cui il narratore presta la parola, o su cui sposta la lente del racconto: colleghi reduci da incidenti, o miracolati, che si sono confrontati con la morte e l’hanno scansata per un caso fortuito.
Questi personaggi condividono con il protagonista una forma di handicap, nel caso dei primi materiale ed evidente, mentre quella di Fede è una menomazione virtuale, antifrastica: lui «non ha alcun arto fantasma, solo presenza in eccesso» (p. 180).

La condizione di ciccione è invalidante quasi come un incidente, ma Fede non ha avuto alcun trauma improvviso, soltanto l’accumulo dei giorni, la vita. Non basta questo?
(p. 179)

Avvenimenti registratisi di recente -che hanno a che fare con la lingua letteraria e il suo saper essere anche sconveniente, scandalosa, e per questo oggetto di alcuni interventi di bonifica – si sono fatti occasione per riflettere criticamente sul linguaggio del presente, che si vuole sempre inclusivo, corretto, purgato da discriminazioni. In altre parole, quella odierna pare essere l’era del rispetto (linguistico ed etico) dei concetti, il cui eccesso può però deragliare verso la paura delle parole.

Nel romanzo si fa ricorso con naturalezza a espressioni che nel linguaggio comune sarebbero bandite dall’accusa di bodyshaming. Nelle intenzioni dell’autore non c’è la virulenza di una polemica aperta, ma una critica obiettiva e strisciante nei confronti della società del capitale che aizza e castra il desiderio; la stessa società che rigetta disgustata il corpo di Fede per il quale non c’è spazio, ché lo ingoierebbe tutto il suo essere enorme.
Il testo si fa così referto di un’insoddisfazione quiescente, che appartiene tanto al protagonista quanto agli altri attori che nella storia gli orbitano attorno.

Infine, notiamo questo: il nuovo romanzo di Falco apre alla salubre speranza che il suo impudico e coraggioso sguardo faccia da stimolo ad altre voci italiane. Finora infatti, se non per qualche sparuto esempio peraltro recentissimo (pensiamo a Balena di Giulia Muscatelli, edito da nottetempo, testimonianza autobiografica di un corpo che è stato gigantesco, oppure a Non superare le dosi consigliate di Costanza Rizzacasa D’Orsogna, edito da Guanda), nella narrativa italiana è mancato l’ardire di fare del corpo obeso il protagonista assoluto di una trama XXXL, capace di contenerlo e raccontarlo nel suo disagio esistenziale e sociale.

L’autore ha sperimentato con sapienza un’unità di misura per un oggetto sì narrabile – la casa infestata del corpo obeso – ma che in ambito italiano, se si pensa perlomeno alla fiction, non era ancora stato trattato con tanta precisa, schietta onestà.

Viviana Veneruso

Immagine di copertina: https://www.pexels.com/it-it/foto/tessuto-floreale-bianco-e-nero-1793525/

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