Il senso della fine, Marianna Crasto
(Effequ, 2023)
Il 29 febbraio di un anno indefinito, il mondo viene travolto da uno di quei pochi, grandi eventi planetari che potrebbero davvero plasmare il sentire collettivo su scala globale: al telegiornale viene annunciata l’imminente fine del mondo. Senza possibilità di appello e di salvezza, l’umanità si scontra con il doppio problema della fine – della Terra, della vita, delle ambizioni, del progresso – e del senso che vi si può dare.
La protagonista senza nome si è da poco scoperta innamorata e d’un tratto si ritrova costretta ad affrontare l’inutilità dei sentimenti umani davanti alla vastità del nulla che attende lei e il resto del mondo. Reagisce nel peggiore dei modi possibili: fuggendo a testa bassa dalle emozioni, dalla normalità e dalla presenza martellante del ragazzo di DolceKasa, che la segue con testardaggine nelle pause pranzo, cercando di spezzare il suo muro di diffidenza e distacco. Ma, in fondo, vale la pena vivere l’amore se è comunque destinato a finire?
La storia si sviluppa prevalentemente all’interno dei confini fisici del Magna Grecia, un centro commerciale dell’hinterland napoletano dove la protagonista lavora in veste di commessa. Come la pandemia ci insegna, i supermercati sono la prima frontiera della guerra e delle catastrofi umanitarie: il progresso della fine si misura in termini di beni che scarseggiano, assalti agli scaffali, rivolte collettive, isterie alla cassa. Mentre chi può permetterselo abbandona casa e lavoro per viaggiare intorno al mondo su crociere di lusso, i commessi attendono la fine incollando codici a barre e sistemando le merci sugli scaffali.
Finalista al Premio Calvino 2022, Il senso della fine porta il lettore in una società realistica ma priva di senso, da cui non c’è via di fuga. Le persone costruiscono nuovi ritmi di vita intorno alle banalità quotidiane – il presentatore del telegiornale che cambia cravatta ogni giorno, il programma di punta L’Uomo dei Sogni, le serate su Netflix, i cineforum tra compagni di supermercato. La prospettiva è però quella ristretta di un personaggio senza particolari aspirazioni o prese di coscienza, che reagisce alla minaccia della fine semplicemente chiudendosi in se stessa, isolandosi negli spazi ristretti del suo appartamento e della cassa del supermercato.
Al centro del romanzo vi è quindi sicuramente una situazione sociale disperata, detonatore di una serie di comportamenti, sentimenti e paure che si sviluppano in modo diverso a seconda dello strato sociale, della personalità del singolo e del contesto comunitario di appartenenza. Eppure, Il senso della fine è soprattutto un’inesorabile storia d’amore, resa complicata (ma anche inevitabile) dalla fine del mondo, con la protagonista e il ragazzo di DolceKasa che si inseguono e si respingono fino a quando alla Terra non rimane più tempo, e quindi nemmeno a loro.
La voce narrante de Il senso della fine è quella di una giovane donna persa, antipatica e ottusa, che cerca di aggrapparsi alla vita a partire dai dettagli insignificanti della routine quotidiana. Non è in grado di capire cosa vuole davvero né di accettare le sue stesse stranezze. Ama il ragazzo di DolceKasa ma lo tratta come un parassita, vuole seguire il viaggio dei genitori ma la infastidisce chiamarli al telefono, odia sentirsi sola ma non sopporta stare con altre persone. È affascinante penetrare nei complessi strati della sua personalità, resi ingarbugliati e contraddittori da quell’emergenza mondiale che porta lentamente tutto e tutti verso la fine. Il lettore non può che trovarla respingente, e al contempo domandarsi se in fondo non lo sarebbe stato anche lui, nelle stesse situazioni.
Il romanzo si suddivide in quattro emblematiche sezioni: “La fine”, “Il senso”, “La fine del senso” e “Il senso della fine”, che declinano in modo diverso quei due principi centrali attorno a cui ruota l’intera opera, portando all’estremo la tensione tra fato e ragione, tra la realtà dei fatti e la loro umana interpretazione – ha senso vivere in una società, se quella società è destinata a distruggersi? E allora, che cosa ha davvero importanza? La cravatta del presentatore del TG? Le distese di sargasso che appuzzolentiscono le spiagge del Messico? I sogni di gente sconosciuta che si confessa in diretta televisiva?
Il senso della fine, anche se tematicamente lontano dall’esperienza del COVID-19, strizza l’occhio ad alcune questioni emerse con la pandemia, trovando più facilmente la complicità del lettore, pur senza apostrofare direttamente fatti o fenomeni della crisi sanitaria. Il focus su un personaggio complesso, isolato e insoddisfatto distoglie parzialmente l’attenzione dai fenomeni paralleli che accadono al di fuori del Magna Grecia – attentati, rivolte, proselitismi religiosi, sperperi e deliri che arrivano all’orecchio della protagonista, e quindi del lettore, solo come dettagli di contorno. Non che in fondo se ne senti davvero la mancanza: proprio poiché Il senso della fine non è un romanzo sociale, al lettore interesseranno soprattutto lei, la testarda e solitaria protagonista, lui, il timido e impacciato ragazzo di DolceKasa, e il senso della loro breve, inutile, inesorabile storia d’amore.
Anja Boato
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