“È giusto obbedire alla notte” racconta Matteo Nucci, candidato Strega 2017

È giusto obbedire alla notte – Matteo Nucci
(Ponte alle Grazie)

9788868336660_0_0_1557_801Fra i finalisti del Premio Strega 2017 c’è, con tutta la potenza narrativa di cui ha già dato prova in altre pubblicazioni, Matteo Nucci, presentato da Annalena Benini e Walter Pedullà. È giusto obbedire alla notte, già apprezzato in Italia da numerosi critici, è stato definito “un romanzo gagliardo, una narrazione straordinaria” da Tuttolibri de La Stampa, così come il suo autore “un narratore dal polso sicuro”, secondo Il Messaggero.

Già in copertina l’opera promette di avere molto da raccontare servendosi di un quadro del 1927 di Mario Sironi, Il pescivendolo, e non smentisce le aspettative dei lettori dipanandosi con uno stile denso, immaginifico e all’interno della metropoli di Roma.

Protagonista delle vicende, non a caso, è la capitale italiana prima ancora di questo o di quel personaggio. Rievocata attraverso il linguaggio popolare che la contraddistingue, o perfino attraverso il dialetto, la città eterna è descritta in una veste inusuale, con dei colori e degli scorci che nemmeno i più profondi conoscitori sanno cogliere e riconoscere a un primo sguardo. Fra le zone abbandonate e quelle degradate, fra il lungotevere e il cimitero, non c’è vergogna che stia dietro alla sua bellezza a tratti decadente – e, anzi, ogni anfratto è spunto di riflessioni, di rimandi continui al mondo classico e alla sua simbologia, di dialoghi lunghi e metaforici fra le voci che hanno un ruolo nella storia.

Primo fra tutti va menzionato Il Dottore, che solo nella seconda delle tre parti in cui è suddiviso il libro scopriamo chiamarsi Ippolito. Lo hanno accolto Cesare, Guido, la cuoca sudamericana Victoria, e adesso gli chiedono aiuto e cure quando soffrono, così come fanno molti clochard della zona, parecchi criminalotti, alle volte degli zingari. Nessuno, però, sa da dove venga, né per un bel po’ di quale sostanza sia fatta la sua vita passata.

La verità sul suo coraggio, sulla moglie Anna e sulla figlia Teresa viene a galla dalle sponde del Tevere lentamente, ai margini di una borgata qua e là pasoliniana, che si fa in certi passi fiabesca e antica, in altri cruda e modernissima. Ippolito, infatti, ha molto di sé da rivelare, mentre sullo sfondo scorrono lingue diverse, mestieri naturali, visite turistiche, arrotini e acque simili a “una melma putrida che porta giù rami e sacchetti e gorgheggia in mulinelli improvvisi”.

La prosa scorrevole e che non corre il rischio di apparire macchinosa, nonostante l’ampio respiro dei passaggi e delle attente descrizioni, lascia spazio allo sviluppo di numerose tematiche, fra cui spiccano quelle dedicate ai legami familiari e di amicizia, oltre a quelle che approfondiscono il rapporto con la città e con l’esistenza stessa.

È così che, in conclusione, proprio fra le chiatte e le baracche di una Roma sconosciuta e inedita, il Dottore realizza di dovere curare sé stesso e chi lo circonda impara a vederne la graduale rinascita. Un romanzo maturo, dunque, e in grado di disseminare e poi raccogliere segreti su luoghi e personaggi, su relazioni e su abbandoni, su modi di dire e modi di fare, incorniciato da un’epigrafe iniziale che ne chiarisce il senso profondo e che risuona nelle orecchie di chi legge dal titolo fino alle ultime pagine: “Mettiamo fine ormai alla battaglia e alla lotta per oggi; poi combatteremo ancora, finché un dio ci divida e conceda agli uni o agli altri vittoria; ormai scende la notte; è giusto obbedire alla notte” (da Iliade, canto VII).

Eva Luna Mascolino

1 Comment

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...