“La lingua batte dove il dente duole”, parola di Camilleri e De Mauro

La lingua batte dove il dente duole – A.Camilleri, T.De Mauro
(Laterza)

51y1jivdwrl-_sx326_bo1204203200_La lingua italiana è, fra quelle neolatine, la più recente e la più antica allo stesso tempo. Recente perché formalizzata da nemmeno due secoli, eppure antichissima perché già presente in nuce in innumerevoli opere letterarie, libretti musicali e parlate locali diventati veri e propri dialetti.

Riflettono al riguardo, in un continuo e affascinante dialogo, due illustri intellettuali del panorama contemporaneo: Andrea Camilleri e Tullio de Mauro.

Il loro punto di vista, com’è chiaro, è radicalmente diverso: l’uno è principalmente uno scrittore e un letterato, l’altro un linguista e uno studioso. Eppure, la loro formazione, la loro produzione e la loro stessa opinione sul tema ha molti punti di contatto, anzi: il loro scambio non potrebbe essere più armonico di così, più stimolante e maggiormente diretto nella stessa direzione.

Il loro punto di partenza, infatti, consiste nel sottolineare che l’Italia è un vero e proprio mosaico linguistico, in cui convivono realtà lontanissime le une dalle altre, sebbene contemporaneamente interconnesse, o con radici simili, e chiaramente con una “sovra-lingua” collettiva identificabile e comprensibile da tutti.

Questo traguardo, però, come già accennato risale agli ultimi duecento anni e ha coinvolto l’intera popolazione solo a partire dal secondo dopoguerra, quando grazie alla radio e alla televisione, nonché a una cultura sempre più di massa, l’alfabetizzazione e l’istruzione sono diventati via via appannaggio di una larga fetta di abitanti, prima esclusi da questo “privilegio”.

In modo parallelo e mai contraddittorio sono sopravvissuti anche i dialetti, la cui esistenza è – paradossalmente – precedente alla lingua unitaria nazionale, sebbene con usi e caratteristiche differenti. Così, se da un lato viene fatto notare che “mi capita di usare parole dialettali che esprimono compiutamente, rotondamente, come un sasso, quello che io volevo dire, e non trovo l’equivalente nella lingua italiana“, dall’altro lato, “mentre la lingua ti dà la possibilità tanto del discorso colloquiale quotidiano quanto del discorso accademico, il dialetto no, il dialetto ha dei limiti anche di vocabolario“.

Entrambi hanno perciò la stessa dignità, entrambi sono senza dubbio destinati ad andare a braccetto ancora a lungo, pur mantenendo la loro unicità e una sfera di utilizzo non sovrapponibile. A questa conclusione e a questa speranza arrivano confermando a vicenda delle impressioni, degli episodi personali, delle ipotesi maturate con l’esperienza o con il confronto intellettuale, e soprattutto con una grande serenità e ammirazione.

La realtà italiana, infatti, è assolutamente extra-ordinaria nel panorama europeo (e non solo) e questa varietà è una ricchezza da preservare, oltre che un tesoro ancora in gran parte da scoprire e da approfondire, specialmente per quanto riguarda il versante “sotto-lingue”. Non a caso, quindi, una lettura del genere può fare bene a molti scettici, la cui visione distorta della situazione fa a volte credere che quella fra l’italiano e il siciliano, fra l’italiano e il napoletano, fra l’italiano e il veneziano e così via sia una lotta sempre aperta.

A ben vedere e a ben leggere si tratterebbe, piuttosto, di una stretta e perenne collaborazione.

Eva Luna Mascolino

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