Chi ha ucciso Roland Barthes?

La settima funzione del linguaggio, Laurent Binet
(La nave di Teseo, 2018)

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Il 25 marzo 1980 Roland Barthes attraversa la strada del Collège de France e viene investito da un furgoncino, verosimilmente Peugeot. Il giorno dopo muore un intellettuale-mito del secolo scorso. Questi i fatti. Ma a Laurent Binet la realtà va un po’ stretta, o almeno, non si può dire che sia molto più vera della finzione. Ne La settima funzione del linguaggio (edito da La nave di Teseo, 2018), Roland Barthes viene assassinato, subito dopo un pranzo con François Mitterand candidato socialista alle elezioni presidenziali.

L’ispettore Bayard, un poliziotto di destra arcigno e allergico all’ambiente radical chic degli intellettuali parigini, si trova a dover gestire un giallo “accademico”: Jacques Derrida, Umberto Eco, Michel Foucault, Julia Kristeva sono alcuni dei molti sospetti di questo ingarbugliatissimo caso. La geo-politica universitaria è difficile, per non parlare del modo di esprimersi del tutto incomprensibile per l’ispettore di alcuni indagati: Bayard si fa dunque accompagnare da un giovane dottorando in Lettere, Simon Herzog.

Il complicatissimo intreccio del romanzo porta i due segugi da una parte all’altra del mondo perché tutti, a Parigi, a Ithaca, a Bologna, a Venezia, vogliono la settima funzione del linguaggio: un foglio che Barthes portava nella tasca della giacca quando è stato investito, e che contiene le istruzioni per un enorme potere.

La “trama” a ponte fra il thriller d’azione e il romanzo picaresco è corredata da una narrazione decisamente ironica, in particolare degli ambienti accademici. Il nucleo del libro, d’altronde, è una teoria linguistica, e se la funzione del linguaggio che tutti vogliono è la settima, perché Bayard possa capirci qualcosa è costretto a farsi spiegare da Simon Herzog anche le altre sei funzioni, quelle di Roman Jakobson.

Il rischio per Binet era quello di scrivere un romanzo per addetti ai lavori, linguisti e semiologi: in realtà ne ha tratto un libro davvero avvincente, a tratti di una comicità irresistibile (esilarante il match fra filosofi analitici e continentali), leggibile a più livelli. C’è un primo livello che riguarda il gusto per l’intreccio e per la narrazione pura, sapientemente costruita. E c’è un altro livello in cui si viene invitati a decodificare (d’altra parte la semiotica e Sherlock Holmes hanno più cose in comune di quanto si pensi) tutte le allusioni, citazioni o criptocitazioni con cui Binet “fa il verso” a grandi linguisti e filosofi del secolo scorso.

Al fondo del romanzo sta la riflessione sul potere del linguaggio nella società e nel dibattito politico, ma La settima funzione del linguaggio non è un libro a tesi: è anzi una storia coinvolgente raccontata in forme narrative frizzanti e intelligenti che ricordano l’Umberto Eco del Nome della rosa. Un libro da leggere.

 

Adriano Cecconi

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