Credere al meraviglioso, Christophe Ono-dit-Biot
(Bompiani, 2018 – Trad. di B. Capatti)
Per riuscire a muovere qualche passo verso il futuro è dal passato che si deve ripartire, prima ancora di fare pace con il presente e di stabilire in quale di questi tre momenti archetipici si vuole abitare. Credere al meraviglioso, romanzo con il quale Christophe Ono-dit-Biot torna in libreria dopo Immersione, sembra volere trasmettere proprio questo messaggio.
La storia è la prosecuzione della vicenda trattata già nell’opera precedente, sebbene ad essere uguali siano a stento i personaggi: César è il protagonista, la moglie Paz nel frattempo è morta ed Hector, il figlio della coppia, qui non viene addirittura mai chiamato per nome. Il primo capitolo si apre in una dimensione successiva rispetto a quella che concludeva Immersione e con un giornalista quarantenne che ha perso ogni ragione per stare al mondo, ora che è rimasto vedovo.
Incapace di riprendere in mano le redini della propria vita, César non riesce infatti neppure a fare il padre, rifiutandosi di pensare a “il bambino” con una denominazione diversa da questa e non riuscendo neanche a guardarlo, a tal punto gli ricorda il viso della madre. L’unica via di fuga gli sembra, insommma, quella dell’atarassia di cui parlavano i greci: assenza di impulsi, di emozioni, di pensieri. E, un passo più in là, il suicidio.
La situazione si capovolge quando una nuova vicina di casa entra prepotentemente nella sua vita, passando in primo luogo dalla sua stessa casa. Si chiama Nana, è greca e ha poco più di vent’anni: ha perso le chiavi del nuovo appartamento, in cui si è trasferita da circa sei mesi, e nell’entrare da César aspettando di risolvere la faccenda osserva la sua biblioteca personale, chiedendogli infine in prestito La Teogonia di Esiodo.
Da un primo incontro di interessi e di sguardi così simili fra loro, l’esistenza di César prende una piega inaspettata e riprende a proporgli episodi del passato, pensieri legati alla mitologia greca e alla storia romana, alla contemporanea società francese coinvolta fra le altre cose anche negli attentati, alla lingua spagnola della sua Paz, alla poesia, all’arte, alla letteratura.
Tale processo di analisi, di rivisitazione e di riscoperta ha come compagna sempre più vicina alle sue giornate proprio Nana, sole fresco di vita e di immaginazione, che sa ascoltare e sa capire, che sa parlare e che sa nascondere molti misteri, e che attraversa con lui i giorni più caldi dell’estate, quelli che già dall’antichità erano definiti “la canicola”. Si trattava, non a caso, di momenti in cui perfino i cani impazzivano, accecati dalle temperature troppo alte e spinti dall’istinto a compiere azioni irragionevoli e fuori controllo.
Paradossale è l’esperienza di César, che invece gradualmente riesce non solo ad accettare il lutto familiare, ma in particolare a riallacciare un rapporto sano con “il bambino”, il quale nel frattempo ha spesso tentato di aiutare il genitore e di stargli accanto più di quanto l’adulto non stesse facendo nei suoi confronti.
Il personaggio, dunque, si riscopre in grado di amare e di credere al meraviglioso, come da titolo, in un dialogo aperto con il lettore e con le figure con cui interagisce all’interno del volume – tutto intriso, peraltro, di rimandi alla storia occidentale, alle radici della nostra sensibilità interiore, alle muse da cui involontariamente ci facciamo ispirare come molti altri uomini prima di noi.
Ed ecco che il passato si rianima, smettendo di essere un fantasma che infesta il presente e diventandone, al contrario, il complemento quasi inevitabile. Dall’unione sinergica di questi due elementi, che si compie in uno stile puntualissimo e delicato, sapiente e traboccante di pathos, il futuro può finalmente riapparire all’orizzonte con estrema nitidezza.
Come affrontarlo rimane un segreto non svelato nemmeno dallo stesso autore, che si limita a regalare a César due certezze: quella di volere vivere e quella di volere replicare gli attimi in cui è stato felice non solo con Paz, ma adesso anche con Nana. Il resto, se c’è un resto, non è rivelato. D’altronde, al meraviglioso si deve appunto credere quasi per fede, con sacro e dolcissimo abbandono all’atto stesso di essere al mondo.
(Eva Luna Mascolino)