La costruzione di un’identità difficile: “Accerchiamento”

Accerchiamento, Carl Frode Tiller
(Stilo Editrice, 2018 – Trad. Margherita Podestà Heir)

 

tillerAccerchiamento è il primo romanzo edito in Italia del norvegese Carl Frode Tiller. Ha visto la luce nel 2007 e nello stesso anno si è aggiudicato il Norwegian Critics Prize for Literature e il Brage Prize, mentre due anni dopo ha vinto il Premio letterario dell’Unione Europea. Una scoperta tarda, dunque, quella di questo autore da parte dell’Italia; non c’è che da augurarsi che anche gli altri suoi scritti conoscano quanto prima una traduzione in lingua nostrana.

David, il protagonista del romanzo – un protagonista che tuttavia non sentiremo mai prendere voce per raccontarci la sua storia da sé – ha perso la memoria, o almeno questo è quello che recita l’articolo di giornale accanto alla sua fotografia. Chiede a chiunque lo riconosca e voglia aiutarlo a ricordare, o capire chi è, di mettersi in contatto con lui. Il suo appello viene raccolto da Jon e Silje, i migliori amici di gioventù, e Arvid, il patrigno. Il libro è strutturato in tre sezioni, una per ciascuno degli individui che s’incaricano di restituire a David il suo passato.

In ogni sezione, si alternano due piani temporali diversi: quello del presente, che attraverso la narrazione ci consente di capire di più sulla vita che conducono attualmente Jon, Arvid e Silje, e quello del passato, che si svolge nella scrittura delle lettere che hanno per destinatario David. È facile aspettarsi, almeno all’inizio, che le tre differenti finestre da cui guardiamo la vita passata del protagonista finiranno per rivelarci chi è, per toglierci ogni dubbio su che tipo di persona sia. Naturalmente non sarà così.

Quasi subito, infatti, il lettore è costretto a chiedersi quanto si debbano reputare affidabili i narratori nelle cui mani è posta la storia di David. Non solo loro stessi arrivano a mettersi in dubbio da sé, in alcune occasioni, ma è anche possibile avvertire delle stonature tra narrazione del presente e narrazione del passato, stonature che lungo le tre sezioni si completano, o almeno, si arricchiscono a vicenda di sfaccettature.

Il romanzo diventa una dettagliata dimostrazione del modo in cui ogni nostra pretesa di oggettività non sia che una manifestazione di ingenuità, quando non di malafede. Trovare una verità diventa difficile, ed è logico anche chiedersi cosa dovrebbe pensare un David di se stesso alla luce di queste lettere, se per caso non uscirebbe dalla lettura ancora più confuso di prima. Allora tutto diventa un gioco di incastri, una sfida a trovare nei tre mosaici i pezzi che combaciano, quando e se esistenti.

Accerchiamento è anche una dissezione di dinamiche sociali su più livelli, da quello più elementare della banale conversazione a quello più articolato della mentalità delle cittadine di provincia anche in una realtà riconosciuta come aperta e progressista quale quella della Norvegia contemporanea. La giovinezza dei protagonisti si svolge a Namsos, nella regione del Trøndelag, città natale di Tiller, negli inoltrati anni ’80.

Dalle descrizioni dei narratori, in particolare quelle di Jon e Silje, emerge un ambiente ancora fortemente influenzato dalla “Legge di Jante” – una sorta di ‘norma comportamentale’ tipica della cultura scandinava, volta alla repressione dell’individualismo e il cui assioma di fondo ingiunge al singolo di non pensare di essere speciale o migliore di qualcun altro.

È proprio per reagire a questa mentalità castrante che Jon, Silje e David da ragazzi assumono comportamenti estremi o comunque insoliti, manifestando autocompiacimento intellettuale, tentando di esplorare la propria sessualità senza inibizioni e cercando legittimazione e approvazione negli ambienti vagamente bohémien frequentati dalla madre di Silje.

Se c’è una costante che accomuna tutti i protagonisti, questa è la paternità problematica. Accerchiamento è un libro che fa sparire dalla scena tutti i padri biologici. Il desiderio di conoscere il proprio è forse l’unica cosa che possiamo dire di sapere con certezza su David. Non si vuole in questa sede fare della psicoanalisi spicciola, ma è possibile che questo ci consenta di capire qualcosa di più del nichilismo del protagonista, della soggezione che la morte esercita su di lui. Il romanzo cattura il lettore coi suoi intrecci di vite e di età, e lo tiene in sospeso guardandosi a ogni angolo dal dare risposte facili o convinzioni durature.

“Che a te piacesse giocare alla roulette russa e che tu avessi un tale bisogno di mettere a repentaglio la tua vita e la tua salute a intervalli regolari, rende ancora più probabile che tu possa essere finito in una situazione dove hai subìto uno choc, un danno cerebrale o qualcosa che abbia causato la perdita della memoria. Non so davvero che cosa credere, considero altrettanto plausibili entrambe le ipotesi.”
(p. 330)

 

Alessia Angelini

*Immagine di anteprima: paesaggio norvegese a cura dell’autrice della recensione.

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