Labirinto, Burhan Sönmez
(nottetempo, 2019 – Trad. Nicola Verderame)
Labirinto è la storia di Boratin, un affascinante e talentuoso cantante blues che tenta il suicidio gettandosi dal Ponte sul Bosforo, sopravvive a questo gesto estremo e si risveglia in ospedale: se l’è cavata con qualche costola rotta, ma ha perso la memoria, e non riesce a ricordare non solo il motivo per cui aveva deciso di farla finita, ma tutto il suo passato e la sua identità. Dimesso dall’ospedale, Boratin è costretto a tornare alla vita di tutti i giorni, nonostante non sappia pià nulla della Istanbul in cui vive, dei suoi affetti e di se stesso.
Questo romanzo di Burhan Sönmez, pluripremiato scrittore turco e uno dei più grandi narratori contemporanei, pone al centro la questione della memoria umana, e in special modo il suo rapporto con il soggetto che la dovrebbe custodire e trasmettere. Partendo da una situazione narrativa della perdita della memoria, fin dalle prime pagine si nota come la penna di Sönmez sia in grado di surclassare ogni cliché sul tema, ponendo questioni fondamentali non solo al suo personaggio, ma al lettore stesso.
Cosa significa, infatti, la memoria, per l’essere umano? Qual è la relazione tra identità e memoria? Labirinto mostra come non esista un’unica, esaustiva risposta a quelle domande. Da una parte, la memoria è fondamentale per l’uomo, in quanto funge da contenitore di esperienze cruciali su cui poi ogni individuo basa la propria autodeterminazione, il proprio riuscire a stare al mondo: non è un caso, infatti, che i primi passsi che Boratin torna a muovere nel mondo dopo l’incidente siano identici a quelli di un neonato, che per la prima volta si aggira tra le cose e le persone, per individuarle, nominarle e stabilire un rapporto identitario. Dall’altra parte, però, Boratin ha l’occasione di cogliere un’emancipazione totale dal proprio passato altrimenti irrealizzabile, di riedificare il presente in modo totalmente slegato e libero da ciò che è già stato; infatti, la memoria potrebbe essere anche una prigione, un obbligo di coerenza verso se stessi, dettato dall’intriseco bisogno umano di ordine e controllo: «Ha importanza come bevesse il caffè nel passato? Oggi gli piace così, può piacergli così. Se nel passato lo beveva zuccherato e ora lo preferisce amaro, che tipo di conclusione trarne?». Nè Boratin né il lettore riusciranno mai a capire se perdere la memoria può essere una fortuna o una sfortuna, una benedizione o una tragedia.
Il concetto di memoria implica il passato: infatti, la memoria è ciò che di esso ci ricordiamo. Il romanzo di Sönmez ha come personaggio un uomo che tenta il recupero del se stesso passato, dopo averne perso la memoria. Se in una condizione normale l’uomo è al centro di una continuità tra passato, presente e futuro, in questo caso è avvenuta una lacerazione tra i primi due: ciò che Boratin cerca di recuperare è un se stesso del passato che non ha nulla a che vedere con quello presente, in quanto è crollata la memoria che può fungere da collante cognitivo tra le due istanze. Per questo, il protagonista è smarrito in uno straniamento da sé e dalla propria identità, e al contempo vuole sia riappropriarsene che dissociarsene. Se non c’è una memoria che tiene insieme passato e presente, se il passato è stato cancellato ed è irrecuperabile, perché la mia nuova vita del presente deve essere vincolata da esso? Eppure, durante il corso del romanzo, Boratin si accorge quanto sia importante disporre delle coordinate temporali, perché, in qualche modo, è il nostro vissuto passato, che custodiamo nella memoria, che giustifica e assegna il nostro posto nel presente: il filo di Arianna dentro il labirinto.
In Labirinto, la memoria non è solo affrontata dal punto di vista identitario e temporale, ma anche corporale ed emotivo. Senza memoria, Boratin possiede solo il proprio corpo, un «foglio bianco» da cui ripartire: non sente proprio il suo nome, guardandosi allo specchio vede altro, i suoi affetti non sono più tali. Quando parlano di ciò che è stato, di quello che ha vissuto, delle perdite che ha subito, non solo percepisce le parole come se riguardassero un estraneo, ma non ne custodisce nemmeno il significato: sono dati che si accumulano ad altri, nel tentativo di ricomporre un mosaico andato in frantumi. Un tentativo in cui sembra che Boriatin non riesca mai a cogliere a pieno lo scopo, l’obiettivo ultimo.
Labirinto è un romanzo che indaga con una lucidità tale da inquietare. Sönmez prende spunto da una situazione topica per affrontare in modo molto sottile e critico il valore del concetto di memoria per l’uomo e le implicazioni della prima nell’esistenza del secondo, tratteggiando una storia segnante tra le luce e le ombre della nostra identità – singola e collettiva.
Michele Maestroni
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