Ettore & Fernanda, Paolo Bacilieri
(Coconino Press – Fandango, 2019)
Milano, febbraio 1928.
Ettore Modigliani è il direttore della Pinacoteca di Brera da ormai vent’anni e ha appena assunto la giovane Fernanda Wittgens come “operaia avventizia”: la nuova impiegata si mette subito all’opera, confermando (e dimostrando giorno dopo giorno) la sua bravura, la sua passione, la sua risolutezza. Modigliani trova nella Wittgens una collaboratrice perfetta (capace e instancabile), e tra i due nasce presto un rapporto indissolubile di sincera amicizia e stima reciproca.
Passa il tempo, la Wittgens diventa assistente di Modigliani e il legame si rafforza sempre di più, nel mentre che gli eventi si susseguono uno dopo l’altro. L’intento dell’autore sembra quasi quello di raccontare le peripezie dei due studiosi, le prove che vengono loro sottoposte durante la collaborazione a Brera. Vengono mostrati, ad esempio, l’esposizione alla Burlington House di Londra allestita nel 1929, le pressioni del regime fascista che si fanno sempre più importanti e che portano all’espulsione di Ettore Modigliani da Brera, l’incubo della Seconda Guerra Mondiale e la devastazione che si trascina con sé.
Tutto ciò permette all’autore di gettare le fondamenta (ma anche di innalzare la struttura) per la realizzazione di un discorso sul significato dell’arte nella società, sul valore dell’arte per definire l’umanità. Emblematico, da questo punto di vista, è proprio l’episodio della mostra d’arte italiana nel Regno Unito del ’29: a bordo del piroscafo Leonardo da Vinci vengono imbarcati capolavori italiani, provenienti dai più importanti musei dello Stivale (il Pitti e gli Uffizi di Firenze, le Gallerie dell’Accademia di Venezia, la Borghese e la Doria Pamphilj di Roma etc), pronti a salpare da Genova alla volta di Londra.
Il viaggio è lungo e burrascoso e più di una volta il destino dell’imbarcazione e del tesoro che essa contiene sembra inevitabilmente segnato. Con enorme ritardo le opere d’arte arrivano finalmente all’East India Dock di Londra e vengono trasferite alla Burlington House. La mostra è un successo e non solamente per quanto concerne l’alta società inglese, quanto più per l’impatto delle cosiddette “serate popolari”.
L’autore riporta quanto scritto da Modigliani sul suo diario:
Un ricordo commosso mi resterà caro di quei giorni: quello delle serate popolari istituite per dare agio a lavoratori e impiegati di soddisfare il loro desiderio. Migliaia di clerks e fattorini nelle loro uniformi, shop girls e sartine, cassiere, midinette, e dattilografe, operaie e operai allineati per quattro in una interminabile serpe fino a Piccadilly, in attesa per ore nella nebbia, sfidando stanchezza, fame e freddo, vogliosi di dare i loro 6 pence per il lusso di una visione di bellezza.
Questo ideale di arte – e l’amore che se ne prova – evidente dalle parole sopracitate* viene scalfito più e più volte durante il corso della storia (e della Storia), prima dai grotteschi deliri fascisti, poi dalla distruzione portata dalla Guerra. Nel 1940 Fernanda Wittgens aveva ottenuto la nomina per la direzione della Pinacoteca e, con l’imperversare del conflitto, è lei ad occuparsi personalmente della messa in sicurezza delle opere d’arte custodite a Brera e in altri musei, per sottrarle alla razzia nazista. Ma non solo: la Wittgens sfrutta il suo prestigio e le sue amicizie per favorire l’espatrio di familiari, amici, perseguitati, ebrei; ciò le costerà l’arresto nel 1944 e la condanna a quattro anni di carcere. Viene liberata il 24 aprile 1945.
Dopo la guerra, la città è ridotta in macerie. La Pinacoteca è distrutta in 26 sale su 34 e Fernanda, affiancata da Ettore che nel mentre è stato reintegrato come soprintendente, si batte per la ricostruzione e per la realizzazione di una nuova Brera che preveda il coinvolgimento attivo della gente. Come riportato nelle pagine del fumetto, l’ideale che guida la ricostruzione della galleria d’arte è espressa dalle parole della stessa Fernanda Wittgens:
Perché Brera non è l'”Hortus conclusus” del collezionista, il museo delle preziosità. Brera è una Galleria Nazionale di ampio tessuto, creata da Napoleone a “educazione del popolo” secondo un profondo pensiero illuministico che noi, eredi, non possiamo tradire.
Bacilieri adotta per questa sua ultima fatica un formato 29 x 21,5 cm, con uno sviluppo orizzontale delle pagine. Che ne sia la causa, o che ne sia l’effetto, il fumetto inizia proprio con una sequenza di otto tavole in cui l’orizzontalità viene sfruttata appieno: viene rappresentato il piroscafo Leonardo da Vinci che affronta la tempesta oceanica solcando le acque ruggenti (e di cui se ne può osservare un’esempio nella figura sottostante).

La pagina appena mostrata e tutta la sequenza a cui si faceva riferimento sono realizzate con estrema bravura e trasmettono fascino, paura, angoscia per la potenza della Natura. In generale, quelle presenti all’inizio del volume non sono le uniche splash page presenti nell’opera, che è realizzata invece con una fitta alternanza tra queste e le tavole ricchissime di vignette e dettagli (come tipico anche dell’autore), con geometrie intricate, descrizioni, frecce e rimandi incrociati tra i vari riquadri, balloon labirintici. La narrazione segue un’approccio per certi versi quasi documentaristico, non disdegnando però approfondimenti di forte intimità in cui si cerca di scavare a fondo nei personaggi, di evidenziare i loro sentimenti e le loro relazioni (come se, nel flusso degli eventi e della Storia che scorre senza mai fermarsi, l’autore decidesse di fotografare un istante per poi sviscerarlo fino in fondo).
La mano di Bacilieri si dimostra, al solito, formidabile. Il tratto è contemporaneamente morbido e graffiante, delicato e grezzo, capace di convogliare in sé emozioni provenienti da stili di disegno tipici delle più disparate culture, mescolando oriente e occidente in una sintesi grafica dal grande impatto. Il realismo e il cartoon si fondono insieme attraverso linee ondulate e marcate: inconfondibile.
Anche nel presente fumetto, come in molte altre opere di Bacilieri, Milano è lo scenario più entusiasmante delle varie vicende e l’autore dimostra ancora una volta la sua passione e bravura nel rappresentare gli edifici e le opere architettoniche. Certamente, dato il contesto storico e il formato adottato, le tavole sono prive della verticalità da capogiro che era presente, ad esempio, in Fun o More fun (editi da Coconino Press, rispettivamente nel 2014 e nel 2016), o in Tramezzino (Canicola Edizioni, 2018) – solo per citare le opere più recenti dell’autore. Tuttavia, anche senza il fascino di palazzi moderni o della Torre Velasca, l’architettura assume un ruolo cardine in Ettore & Fernanda, che si manifesta proprio nell’edificio della Pinacoteca di Brera (per il quale risulta anche più adatto il formato), fulcro dell’intera narrazione, e simbolo della rinascita non solo della città, ma pure dell’umanità; il risveglio dopo le tenebre bestiali della Guerra.
Dunque, Ettore & Fernanda è un fumetto energicamente quieto, che sussurra al lettore una storia affascinante e insolita: l’incontro di due intellettuali e la loro unione a difesa dell’arte, arte che a sua volta è – citando Fernanda Wittgens – “una delle più alte forme di difesa dell’umano”. Bacilieri realizza così un piccolo gioiello, quasi una brochure in cui le emozioni vengono condensate. Richiamando sempre la bravura dell’autore nel disegnare gli edifici e nel saper gestire le linee e le prospettive, ecco che questo fumetto e la storia dei due studiosi d’arte assume un senso quasi fatalistico: un incontro che ha la stessa precisione di una convergenza prospettica e che mostra la rigorosa assurdità delle storie.
Francesco Biagioli