E i figli dopo di loro – Nicolas Mathieu
(Marsilio, 2019 – trad. di M. Botto)
Ci sono narratori che sanno raccontare benissimo certi continenti della vita. Per qualche ragione sono rimasti fermi a dieci, venti, trent’anni: nonostante il loro corpo abbia continuato a crescere, l’anima si è ancorata lì. Sanno riprodurre quel frammento di esistenza con la maestria e l’eleganza di chi compie un gesto ripetuto infinite volte, e ogni volta che ascoltiamo le loro storie sanno ricollocarci nel loro preciso, inimitabile tempo interiore.
Ammaniti, per esempio, non ha mai smesso di essere un adolescente. Charlie Kaufman scrive solo di trenta-quarantenni sfigati. Nicolas Mathieu (un nome che fino a ieri a noi italiani non diceva praticamente niente) è abile nel raccontare quella fase di passaggio tra la scuola e l’università, quando i futuri possibili si spalancano e si capisce di essere responsabili del proprio destino. Gli anni in cui il sesso è totalizzante, in cui l’alcol e la droga sono quasi scontati, in cui si vuole solo correre, sempre, perché rimanere fermi è come morire. È questo il campo dove Mathieu gioca in casa.
L’ho capito subito, sin dalle prime pagine di E i figli dopo di loro, unico suo romanzo che sia uscito in Italia (tra l’altro vincitore del Prix Goncourt nel 2018: che è come dire il nostro Premio Strega). Un libro generoso, pieno di scenari e sentimenti e storie che si intrecciano, scritto con una lingua sottile e per niente letteraria che a tratti mi ha ricordato Salinger. L’elettricità che attraversava i vostri diciassette, diciotto anni qui la ritrovate già nell’impianto formale, la pescate anche solo sfogliando qualche pagina a caso.
Il protagonista, Anthony, vive in un paese periferico della Lorena, decisamente lontano dal centro del mondo. Vuole scappare: come vogliono scappare Hacine e Stéphanie, due che hanno la sua età, la stessa inquietudine, ma origini ed estrazioni sociali differenti. Entrambi, in modi diversi, lasceranno solchi di una certa profondità nella sua vita – così come lui ne lascerà nella loro. Perché la soglia dei vent’anni prima o poi la si supera, e quello che si è seminato indiscriminatamente a un certo punto bisognerà raccoglierlo. Non sempre in positivo.
E non a caso si può dire che un altro protagonista è lo scorrere del tempo: il romanzo è diviso in quattro sezioni, ognuna delle quali ambientata due anni dopo la precedente – 1992, 1994, 1996, 1998. Saltiamo da una scena all’altra, e un po’ alla volta tutto cambia, cambiano le intenzioni e le consapevolezze dei personaggi, coppie si sciolgono, coppie si formano, si infrangono i desideri. Certe cose invece rimangono: perché è meraviglioso e incredibilmente vero trovare in qualcuno che è cresciuto, che è maturato, certe insicurezze di sempre, una o due passioni intramontabili, magari un senso di vendetta mai soddisfatto.
È un romanzo – questa è forse la cosa che mi ha colpito di più – pieno di sesso. La voglia scorre come una corrente continua tra le pagine e si canalizza in due o tre esplosioni forti verso le quali è difficile rimanere indifferenti. Mathieu ha costruito una corporeità esplicita, straripante, eccessiva quanto lo è nella vita reale – una dimensione in cui ogni singola piega di pelle può scaldare il sangue e provocare moti che fanno crollare montagne. Ci sono narratori che sanno scrivere benissimo le scene di sesso. Tra loro, Mathieu è uno dei più minuziosi, impoetici, verosimili.
Ci sarebbero ancora molte cose da dire. Tra gli altri temi che si trovano in questo romanzo, per esempio, possiamo inserire: la disoccupazione, la caducità del corpo, l’essere madri, l’essere figli, soprattutto l’essere padri, l’orgoglio, la delusione, la determinazione, le feste in casa piene di gente che non si conosce, le spiagge di notte punteggiate di falò, la ferocia della predilezione, la dolcezza del dolore. E molti altri. Tanti da rendere impossibile una recensione davvero fedele: motivo per cui ho fatto fatica, più del solito, a buttare giù queste righe.
Se mi si concede allora una sintesi avrei solo da concludere che questo romanzo è bellissimo. Sicuramente uno dei più belli che ho letto quest’anno. Ciò che lo rende così bello è proprio la sua molteplicità: narrativa e sentimentale. È un libro che potreste trovare in mano a un sedicenne brufoloso che pensa solo ai videogiochi, a un trentenne in carriera che pensa solo ai soldi, a un sessantenne snob che pensa solo alla cultura. Qualcuno di loro lo leggerebbe in tre pomeriggi, qualcuno un po’ alla volta. A domandarglielo, nessuno vi spiegherà allo stesso modo degli altri perché gli sia piaciuto così tanto.
Pierpaolo Moscatello