Vite surreali di personaggi improbabili

Vite coniugali, di Bernard Quiriny
(L’orma editore, 2019; trad. di N. Petruzzella)

 

e5cd17f9d8556091f490a2a0da37a537_w600_h_mw_mh_cs_cx_cyQualsiasi raccolta di racconti firmata da Quiriny porta inevitabilmente con sé una serie di aspettative: che sia varia, assurda, ricca di spunti improbabili, con storie brevi, altre brevissime, qualcuna brevissimissima – cinque righe, massimo sei. E poi racconti un po’ più lunghi, ma non meno allucinanti nelle idee folli da cui traggono origine.

E infatti è proprio questo il panorama che ci offre Vite coniugali. Come sempre, dietro un titolo anonimo si nascondono storie fuori dall’ordinario. Prendiamo il celebre club dei sedentari, frequentato solo da persone patologicamente refrattarie ai viaggi, che annualmente organizzano una competizione tra i membri per premiare chi resiste il più a lungo possibile lontano da casa.
O ancora la storia del povero Malone, che non sa rispondere in modo razionale e pertinente alle domande, anche se di suo sarebbe un ottimo interlocutore. Per non parlare poi della città capitale dell’immaginaria Pomenia, dove coabitano due etnie differenti che, per qualche allucinante coreografia cosmica, riescono a non incontrarsi mai, pur vivendo negli stessi quartieri e frequentando gli stessi posti.

Il trucco di Quiriny è sempre lo stesso: lo abbiamo già letto in Storie assassine e La biblioteca di Gould, entrambe edite da L’orma editore, dove si intervallano storie altrettanto surreali, incredibili e variopinte. I racconti potrebbero persino essere interscambiabili tra le varie antologie, se non fosse per un sottile e quasi impercepibile gioco di rimandi interni.

Maurice de Saint-Guérin, per esempio, è il bizzarro protagonista dell’opera che dà il titolo alla raccolta: un uomo strano ed erudito che da anni continua a innamorarsi, sposare e divorziare dalla stessa donna, reincarnata sempre in corpi diversi (seppur fisicamente identici). Eppure si tratta anche del dimenticato scrittore che Francois Gillibert venera in Romanzo di una prefazione, forse una delle storie più caratteristiche della raccolta, in cui le prefazioni che Francois dedica alla pubblicazione delle opere di Saint-Guérin diventano più interessanti dei romanzi stessi. Non è l’unico caso in cui lo stesso nome ritorna tra più racconti, anche se spesso e volentieri il gioco di rimandi sembra essere lasciato più alla discrezione del lettore, che a una scelta voluta e ben pensata dall’autore in sé.

Come tipico delle opere di Quiriny, le storie meglio riuscite sono quelle che non raccontano vere e proprie storie. Il suo talento risiede più nella capacità di inventare contesti fuori dagli schemi che nello sviluppare trame fitte e complesse. Ci sono delle importanti eccezioni tra i racconti più lunghi della raccolta, ma la forza attrattiva è comunque dovuta principalmente allo spunto di fondo. Lo stile vi si adegua nel migliore dei modi possibili, ovvero con la caratteristica e curata raffinatezza tipica di Quiriny, perfetta per sottolineare ulteriormente la stravaganza del contesto messo in scena. E se è vero che non tutti i racconti sono perfettamente riusciti, c’è da sottolineare che questo è un rischio implicito in qualsiasi raccolta.

Rimane da chiedersi che cosa trasmetta Vite coniugali in più rispetto alle antologie dell’autore già pubblicate precedentemente in Italia. Niente, a dire il vero, ma in fondo non è forse proprio quello che ci si attende da lui? Un divertissement continuo, una scrittura priva di alcun senso se non il gioco implicito nella scrittura stessa, e qualche pillola di graziosa e puntigliosa ironia.

Tra le raccolte di Quiriny finora pubblicate in Italia, devo ammettere che Vite coniugali non è quella che mi ha convinto maggiormente. Però è sempre bello tornare a immergersi, di tanto in tanto, nel mare delle sue surreali follie.

Anja Boato

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