Nell’antro dell’alchimista, Angela Carter
(Fazi Editore, 2019 – trad. S. Basso e R. Bernascone)
La mia conoscenza di Angela Carter risale al 2011, forse al 2012. Il suo nome è rimasto incastrato in un recesso della memoria dopo che l’avevo letto in un racconto su EFP, di cui posso citarvi ancora titolo e trama. Mi ero chiesta chi fosse questa Angela Carter, e perché fosse finita in quella storia (l’idea, vedete, era che in ogni racconto vi fosse un personaggio realmente esistito), dato che non mi sembrava affatto importante.
(È così che ho scoperto anche Wisława Szymborska, ma questa è un’altra storia).
Qualche anno dopo, ho letto Figlie sagge. Meraviglioso, rutilante, divertente, mi ha fatto capire perché la Carter meritasse di stare in quel racconto e, in generale, di essere ricordata tra le grandi autrici del secolo scorso.
Perciò, quando ho saputo che Fazi avrebbe pubblicato i suoi racconti, ho deciso di leggerli, fiduciosa di ritrovare quell’atmosfera incredibile, quel continuo fuoco d’artificio che era stato il suo romanzo.
Le mie aspettative, in qualche modo, sono state disattese. Personalmente avrei apprezzato di più l’introduzione di Salman Rushdie se fosse stata spostata alla fine: la sua cura nell’anticipare il contenuto dei più bei racconti della raccolta mi ha spiacevolmente privata del piacere della scoperta.
Quindi, il mio primo consiglio è di tenere l’introduzione per il finale, e di gettarsi a capofitto nei racconti.
Racconti che rappresentano un saliscendi degno di una montagna russa. Tutti contraddistinti dallo stesso stile, barocco e sensuale, si trovano sul filo del rasoio, sempre sul rischio di scivolare nel grottesco e, soprattutto, nel ridicolo. Nell’antro dell’alchimista incorpora tre diverse raccolte: i primi racconti, risalenti al periodo 1962-69; Fuochi d’artificio: nove pezzi profani, del 1974; e La camera di sangue e altri racconti, classe 1979.
Si avverte nitidamente l’evoluzione stilistica e personale dell’autrice; i dieci racconti de La camera di sangue sono sicuramente i più riusciti dell’intero volume, sebbene Gli amori di Lady Porpora e Padrone si siano ritagliati un posticino tutto loro nel mio cuore.
La camera di sangue e altri racconti raccoglie le rivisitazioni di alcune tra le fiabe più note: da La Bella e la Bestia a Cappuccetto Rosso, dal Gatto con gli stivali a Barbablù.
Al centro di questi racconti c’è la riscoperta di una femminilità selvatica e oscura, in rinnovata comunione con la natura – una Natura che non è il tenero e piatto fondale delle fiabe Disney, ma un’entità viva e pulsante, non benevola, perfino crudele nella sua imparzialità.
Ciò nonostante, è l’uomo, piuttosto che la belva o il mostro, a indulgere nella crudeltà: non la Bestia ma il padre che vende la figlia, il marito violento, la vecchia gelosa.
I racconti della Carter sono pervasi da una sensualità oscura, fortemente accentuata. È un suo tratto caratteristico, e non sarebbe corretto criticarlo in quanto tale. Posso dire, tuttavia, che talvolta l’autrice esagera con le nudità e gli incesti e il sesso e il sangue e il velluto e l’opulenza, al punto che il racconto supera il famigerato punto di non-ritorno, non sconvolge ma annoia. Questa oscenità reiterata ed esibita non è affascinante, ma ridicola.
In sintesi, Nell’antro dell’alchimista è una raccolta eterogenea: i racconti de La camera di sangue sono piacevolissimi, intelligenti, deliziosamente oscuri. Altrove, si possono trovare delle perle – consiglio, tra gli altri, Souvenir del Giappone; ma, in generale, i suoi testi sono viziati da una certa inesperienza e da una volontà di scandalizzare esagerata e quindi inefficace.
Sonia Aggio
Quindi una raccolta di raccolte…
Ho notato che piace dare commenti su come finiscono racconti e libri, già nella prefazione, e ancora non ne capisco il motivo.
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Vorrei capirlo anche io! In questo modo mi hanno rovinato alcuni dei racconti più belli della raccolta
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