Le cose imperfette, Gianni Montieri
(LiberAria, 2019)
Le cose imperfette è un libricino snello, agile, veloce. Un libretto leggero che si scandisce in tre capitoli: Lettere aperte al fronte sudamericano, Le persone rimaste, Previsioni di marea. Una raccolta di poesia, ma non propriamente poesia. Prosa poetica è una definizione più accurata, e tuttavia anch’essa in alcuni passaggi stona, sembra fuori posto. Le cose imperfette è una raccolta di momenti strappati alla banalità del quotidiano. Momenti tristi, felici, malinconici, momenti di preoccupazione, di mancanza, di curiosità, di quesiti esistenziali.
La prima sezione ha il suo filo rosso nella lontananza della moglie dello scrittore, in Sudamerica per lavoro, e nella vita di tutti i giorni, con sullo sfondo soprattutto la Milano dei negozi e dei balconi e dei mezzi pubblici – a questo proposito, riconosco all’autore un non disprezzabile coraggio nell’avere la forza di trovare spunti poetici nell’ordinario pendolarismo –, ma non solo; ora un cenno al Brasile, ora delle parole spese per cercare di restituire una dignità e una consistenza ai cadaveri che popolano i nostri mari.
Il nodo centrale del secondo capitolo non si lascia, invece, individuare facilmente; sembra una collezione sparpagliata di elementi slegati, accomunati forse da una sensazione, a volte da un’intuizione sfuggente. Stralci di canzoni, di passanti, di ricordi, di Roma, persino di una forma di metanarrativa. Versi per la propria sorella, per la propria città, e una dichiarazione di poetica che cade noncurante tra un Kent Haruf e una meditazione sul fluire temporale.
“… tutto / in me è troppo contemporaneo / dovrei fare un settenario oppure / un novenario ma dopo della t-shirt / verde presa a Berlino che ne faccio?” (p. 67)
La terza sezione è molto breve e il suo tema è precisamente quello annunciato dal titolo: le previsioni di marea a Venezia, un colore alla volta, una reazione diversa dopo l’altra, le trincee o il sollievo e le regole per camminare sottostando alle regole della “padrona di casa”. Leggere questi versi colpisce di taglio, dopo essere rimasti col fiato sospeso per le sorti della città, del suo patrimonio artistico, dei suoi abitanti, un paio di mesi fa durante i giorni di piena straordinaria.
“Una volta mi hai detto la città / è svenuta ci conoscevamo appena / oggi che anche io perdo i sensi / dentro Venezia, insieme a te / rinasco, faccio mia la precarietà / dell’attimo in cui passo / nel punto dove non distingui / la calle dal canale; se non ci piombo / dentro, mi dico, ho preso residenza […]” (p. 86)
Le cose imperfette è un testo nel quale l’intertestualità è più spesso esplicita che no. Assai frequenti le menzioni a libri letti, o da leggere, o in lettura; qua e là fanno capolino tra le righe citazioni e riferimenti letterari disparati e variegati, da Borges a Foster Wallace a Pasolini e così via. La prosa poetica, per quanto scelta dichiarata, non sempre ha esiti fortunatissimi da un punto di vista espressivo; probabilmente la materia non avrebbe che giovato dell’utilizzo di qualche artifizio retorico più complesso, senza che questo significhi dover comporre settenari oppure novenari. Ciò non toglie che la raccolta ospiti passi davvero gradevoli, arricchiti da immagini originali e in taluni casi sinestetiche.
Alessia Angelini
(Immagine di copertina a cura dell’autrice)