Il detenuto zero, Yiannis Karvelis
(Voland, 2019 – trad. G. Dilillo)
Esiste un carcere di massima sicurezza, ufficialmente chiamato “Isolamento”, frutto dell’ingegno di un gruppo di matematici dalle spiccate capacità intellettive. Evadere è pressoché impossibile. Il carcere è costituito da un numero N di celle poste in ordine progressivo ed ermeticamente isolate, dove è resa impossibile qualsiasi tipologia di comunicazione, sia tra detenuti sia con l’esterno.
Ora presta attenzione, che l’indovinello si complica: mettiamo che tre individui, consapevoli del funzionamento del sistema di Isolamento e menti brillanti, vengano rinchiusi in questo carcere per la prima volta dalla sua inaugurazione. Ciascuno di loro è destinato a una cella, il cui numero però non gli viene rivelato. L’unico modo per aprire la porta di ciascuna cella è quella di digitare sul tastierino il suo numero corrispondente. Un tastierino è posto fuori dalla porta, mentre l’altro, per motivi legati a fattori di sicurezza, è inserito all’interno. L’unico modo in cui un detenuto può uscire è che scatti il sistema di allarme: in tal caso viene rivelato a tutti i prigionieri il numero della propria cella, così che possano inserire il dato e aprire le porte. Attenzione: il sistema funziona solo se tutti i detenuti digitano il numero corretto nello stesso momento. È chiaro fin qui? Bene.
I detenuti non possono comunicare tra di loro, ma sono consapevoli del cambiamento di orario giorno-notte e vengono riforniti dei viveri da un macchinario particolare. Oltre al vano del cibo, ogni giorno i detenuti possono spostare una levetta per bere o caffè o latte. Per semplificare l’indovinello, vi suggerisco di assimilare la scelta caffè/latte al classico sistema binario di 0 e 1 degli elaboratori elettronici.
In ogni caso, a una settimana dal giorno della loro carcerazione, i tre detenuti riescono a fuggire. Come hanno fatto?
Per quanta fiducia possa nutrire nelle vostre capacità logiche, vi suggerisco di non provare a risolvere il quesito direttamente dal mio riassunto. Sono certa di aver tralasciato dei passaggi fondamentali. Se comunque voleste cimentarvi nell’impresa, oltre a consigliarvi di leggere Il detenuto zero di Karvelis, vi invito a guardare al mondo della logica e della matematica e iniziare a pensare in termini di numeri fattoriali, probabilità e a tutto l’infinito sistema di costrutti logici che li accompagnano.
In caso ci fossero dubbi, Il detenuto zero è un romanzo, o quantomeno ci assomiglia molto. Solo che l’autore è laureato in ingegneria elettronica e ama gli indovinelli logici, quindi il risultato è un problema matematico traslato in forma narrativa. In breve, abbiamo tre giovani studiosi che vengono rinchiusi in un carcere di massima sicurezza per aver rivelato dei segreti di Stato. Quando riescono magicamente a evadere, tutti sono convinti che avessero dei complici tra il personale addetto a rifornire il macchinario dei viveri. Inizia così un processo contro gli imputati in cui si scontrano le valutazioni logiche necessarie per risolvere il mistero e dimostrare che, tutto sommato, i tre ragazzi potevano evadere anche senza aiuti esterni.
Il lato narrativo e propriamente letterario dell’esperimento non ha grande spessore. Il problema di logica matematica comincia solo nel settimo capitolo, mentre la prima parte è un susseguirsi di eventi relativamente inutili ai fini di quello che costituisce il vero cuore dell’opera, ovvero l’udienza. Si accumulano decine di personaggi privi di spessore psicologico, ridotti a semplici macchie stereotipiche, che parlano e si muovono come marionette incolori. Le loro voci hanno lo stesso tono accademico e razionale, si supportano a vicenda solo per permettere al discorso logico di giungere a una sua conclusione, facendosi domande e dandosi risposte.
Il contorno narrativo è quindi trattato in maniera troppo frettolosa e sbrigativa. La prima parte del romanzo consiste nella rapida descrizione degli eventi che anticipano la fuga, i quali però non sono necessari per comprendere quanto viene detto in tribunale. Il rischio è quello di generare confusione e noia, ammassando decine di personaggi inutili in un susseguirsi di fatti secondari. D’altro canto, il senso ultimo di questa scelta è giustificato dalla necessità di dare all’opera una parvenza letteraria più solida.
Per questo motivo, Il detenuto zero non va letto nell’ottica di un grande romanzo letterario, ma di un affascinante e avvincente esperimento. L’elemento narrativo, per quanto povero e ingenuo, contribuisce a renderlo piacevole anche per chi non è propriamente interessato al mondo della matematica. Anche solo per questa nota di originalità, e per la capacità di costruire intorno alla matematica un sistema di pathos e colpi di scena, è difficile che Il detenuto zero disattenda completamente le aspettative del lettore.
Anja Boato