Ada brucia, di Anja Trevisan
(effequ, 2020)
1980: Rino ha 25 anni, vive in un paesino dell’Umbria e fa l’orologiaio come suo nonno. Da lui ha ereditato una casa isolata tra i boschi, un forte senso della giustizia e una collezione di libri per bambini. È un giovane timido e peculiare, non ha molti amici e la sua esistenza è solitaria e abitudinaria. Ha un segreto: l’emozione incontenibile che lo coglie davanti alle bambine. Inizia così Ada brucia, l’esordio di Anja Trevisan pubblicato da effequ.
Convinto di essersi innamorato della piccola Ada, di soli nove mesi, Rino la rapisce e la cresce a casa propria, isolata dal mondo, in una prigione che è una gabbia d’amore e attenzioni. Per impedire che la bambina esca e corra il rischio di essere vista da occhi estranei, Rino le racconta che la terra le brucerebbe i piedi se provasse a calpestarla senza scarpe. Prima di poter uscire, i piedi della piccola Ada dovranno diventare grandi quanto quelli di Rino: solo così potrà mettersi le scarpe di lui e camminare senza pericolo.
Il corpo centrale del romanzo è il racconto della quotidianità di Rino e Ada, scandita da rituali, abitudini condivise e dalla morbosa necessità di nascondersi dal resto del mondo. In una narrazione conturbante e slegata dalla realtà, come lo sono i protagonisti, Rino instaura con la bambina una dinamica di coppia, con tanto di litigate in cui non è certo di avere la meglio. L’uomo desidera più di ogni altra cosa che il suo amore sia ricambiato, e cerca dei segni di accoglienza o respingimento in Ada, interpreta le sue espressioni e i suoi silenzi come quelli di un’amante.
Il personaggio di Rino, colonna portante dell’opera, è delineato con estrema lucidità: per il lettore, nonostante l’istintivo ribrezzo che le azioni e i pensieri del personaggio suscitano, è impossibile bollarlo semplicemente come il cattivo della storia. Nonostante, infatti, l’autrice lasci intuire lo squilibrio dell’uomo in più momenti, e crei anzi una convincente rete di indizi sulle cause della sua condizione, il romanzo è anche una denuncia sul tabù assoluto che grava sul tema. Rino non è intrinsecamente cattivo né violento, e avrebbe avuto bisogno di aiuto, sostegno e supporto prima di arrivare alla follia totale.
Un altro tema interessante portato all’estremo nel romanzo è l’ideale dell’amore assoluto, che giustifica qualunque tipo di azione. Nei momenti prima di rapire Ada, Rino, al cimitero, cerca di giustificarsi con il nonno defunto e si dice che anche lui approverebbe quello che sta per fare, perché l’amore è giusto e allora è giusto che lei stia con lui [p. 33]. L’amore continua a essere la giustificazione di Rino per tutti gli anni che la piccola passa con lui; anche Ada viene abituata a pensarsi come la protagonista di una storia d’amore. E allora il lettore è costretto ad ammettere che l’amore, anche se c’è, non è affatto giusto per antonomasia; che anzi molto più spesso è tossico e distruttivo.
Ada rimane con Rino per tredici anni, prima che uno spiraglio si apra nel suo carcere perfetto e lei venga liberata e l’uomo arrestato e processato. La parte finale del romanzo si concentra sulla ragazza e sul suo primo ingresso nel mondo normale, su una dipendenza che la tiene ancora prigioniera e bramosa. Avrei apprezzato leggere il punto di vista di Rino, le sensazioni provate in carcere e quello che sente una volta tornato in libertà: il suo personaggio è il tratto più emblematico del romanzo e la chiave di lettura dell’opera sarebbe passata più efficacemente tramite lui.
Ada brucia è un romanzo a cui si ripensa incessantemente dopo averlo chiuso: disturba e tormenta, e ci riesce anche grazie a una prosa sicura e matura, impalcatura imprescindibile per una narrazione così particolare, tant’è che stupisce scoprire la giovane età dell’autrice. Un libro necessario e coraggioso, che aleggia su una tematica forte con delicatezza, quasi in punta di piedi.
Loreta Minutilli