Il primo che passa, Gianluca Nativo
(Mondadori, 2021)
Pierpaolo, il protagonista del romanzo d’esordio di Gianluca Nativo, non ha mai avuto bisogno di fare delle vere scelte, o di interrogarsi su di sé: seguire un percorso già tracciato non gli è mai costato nessuna fatica. Il padre è un imprenditore edile, che ha costruito dal niente una solida fortuna ed è molto rispettato nel suo quartiere, nella periferia di Napoli. Nei genitori del protagonista, Nativo tratteggia con precisione antropologica il ritratto di una famiglia che è riuscita nell’ascesa economica, con mezzi non sempre leciti, e affida al figlio quella sociale: la conquista della rispettabilità borghese, l’emancipazione dal degrado della periferia.
Per i primi diciannove anni della sua vita, Pierpaolo si adegua a queste aspettative con naturalezza: ottiene buoni risultati nello studio, passando senza esitazioni dal liceo classico alla facoltà di Medicina; si integra senza problemi tra i compagni di scuola, appartenenti a famiglie benestanti del centro di Napoli; accoglie docilmente un’idea di amicizia basata sul gregarismo.
A rompere questo equilibrio arrivano, quasi in contemporanea, due eventi: il padre viene arrestato proprio nei giorni in cui Pierpaolo si sta accorgendo di essere omosessuale. Il ragazzo, deragliando da quei binari che dovevano condurlo infallibilmente alla felicità e al successo, si trova costretto a cercare una sua identità, senza modelli preconfezionati a cui ispirarsi: dovrà essere lui, da solo, a provare, sbagliare e riprovare.
I due fatti che mettono in moto la narrazione, pur essendo molto diversi tra di loro, dialogano e si contaminano: Pierpaolo non ha nessuna esitazione a riconoscere e accettare la propria omosessualità, ma gli è impossibile immaginare di uscire allo scoperto, chiedere ai genitori di accettarlo per quello che è. Così l’esplorazione della sua sessualità gli appare un esperimento possibile solo nel tempo sospeso in cui il padre è agli arresti domiciliari: dei mesi che già di per sé non appartengono al corso normale delle cose, alla vita reale per come l’ha sempre pensata.
«A volte mi dicevo che tutta quella felicità forse dipendeva dalla detenzione di mio padre. Come se l’oscura vicenda giudiziaria in cui era coinvolto equivalesse alla clandestinità con cui portavo avanti la mia vita privata: avevamo entrambi un segreto.» [pag. 144]
Pierpaolo, però, è emotivamente impreparato a questo percorso di scoperta di sé. Non ha mai ricevuto un’educazione affettiva: nel suo gruppo di amici dominano le dinamiche di branco, legate all’esibizione delle conquiste sessuali e delle possibilità economiche; i genitori, da parte loro, sembrano convinti che non parlare delle cose sia sufficiente a far andare tutto per il meglio. Questo attaccamento ostinato all’imperturbabilità della vita familiare emerge con particolare forza, e in maniera quasi straniante, proprio in relazione all’arresto del padre. Anche di fronte all’evidenza, i genitori continuano a negare la portata dell’evento: Va tutto bene Pierpà, si sistema tutto, non ti preoccupare, pensa a studiare. A prima vista questo può sembrare il rifiuto di trattare il figlio come un adulto, di riconoscergli capacità di discernimento. In realtà, però, questo atteggiamento nasconde anche un altro risvolto: Pierpaolo, il membro della famiglia che diventerà primario, non deve essere contaminato dai lati più equivoci del lavoro del padre.
Il protagonista, quindi, affronta questo momento di passaggio senza compagni di viaggio né punti di riferimento.
«Non ero abituato –nessuno me l’aveva insegnato– a seguire impulsi che fossero miei e non di tutti.» [pag. 26]
Si isola dagli amici, con cui sa di non poter parlare; inizia a trascurare l’università, e si avventura in un limbo indistinto, popolato solo dagli incontri occasionali con diversi uomini, che però si rivelano tutti squallidi e deludenti. Anche l’amore, quando arriva, deve farsi strada tra gli imbarazzi e i passi falsi. L’intimità si costruisce in sordina, per tentativi e approssimazioni; e comunque non è mai una conquista definitiva, ma è sempre fragile, esposta al dubbio.
L’attenzione alle sfumature del contesto sociale, l’omosessualità raccontata senza stereotipi, la riflessione sulla mancanza di un’educazione emotiva nei giovani uomini: tutti questi elementi si innestano nell’impianto classico del romanzo di formazione, offrendone una declinazione sincera e interessante. La forza della narrazione, però, è fiaccata da alcuni aspetti strutturali e formali che non risultano pienamente convincenti.
Molti dei personaggi secondari, ad esempio, sono liquidati con pochi tratti distintivi, a volte caricaturali. È come se non esistessero al di fuori del ruolo che l’autore assegna loro: Angelo è l’emblema del machismo altoborghese, zia Rosa quello della volgarità del quartiere. Valeria e Francesco hanno la funzione narrativa di innescare la presa di coscienza del protagonista, e si esauriscono in questa dimensione. Fa eccezione Elia, il primo vero ragazzo di Pierpaolo, che gode di una caratterizzazione più ricca. È lui che gli mostra un altro modo di divertirsi, stare con gli altri ed esplorare la città: più spontaneo e curioso, meno legato a codici predefiniti.
Durante la lettura, inoltre, si avverte un certo sbilanciamento tra le varie parti della storia. La fase di stallo emotivo di Pierpaolo occupa quasi un terzo del testo, e questa scelta si rivela un’arma a doppio taglio: da un lato trasmette con efficacia l’idea di un trascinarsi senza scopo; dall’altro, però, ripropone a lungo le stesse immagini e le stesse riflessioni, senza aggiungere molto a quanto già detto. Altri episodi, viceversa, sono affrontati frettolosamente e restano fine a se stessi, senza influire sugli eventi successivi o sul percorso interiore di Pierpaolo (la “fuga dagli stipati”, l’incontro col ragazzo con l’espansione all’orecchio); oppure creano premesse interessanti, che però non vengono sviluppate (la festa dell’amica di Elia).
Lo stile, piuttosto suggestivo nelle descrizioni di Napoli, non si rivela altrettanto efficace quando si tratta di raccontare personaggi, eventi o riflessioni. La ricerca di semplicità e immediatezza, per quanto legittima e coerente con la storia, ha come esito un linguaggio un po’ convenzionale, a tratti trascurato («Il passeggio sulle strade era in fermento e si direzionava verso il mare» [pag. 75]), oppure didascalico:
«Ripetevano in forma più adulta –indossavano abiti lunghi e scarpe col tacco alto– dinamiche da liceali. Attendevano che i fidanzati di lunga data venissero a dar loro il minimo di considerazione…» [pag. 205]
Questi limiti, comunque, riescono solo in parte a indebolire un testo che dal punto di vista tematico è invece molto ben costruito – tanto che, una volta chiuso il libro, tutti i nodi sollevati hanno modo di sedimentarsi nella mente del lettore. Rimane quindi la curiosità di continuare a seguire un autore che ha chiaramente molto da dire.
Benedetta Galli
In evidenza: foto di Francesco Palermo da Pixabay