Io e Bafometto, Gregorio H. Meier
(Wojtek, 2021)
Meier, autore di disparati scritti psichedelici e stravaganti, in Io e Bafometto scava nelle ossessioni che da sempre attanagliano l’umanità. L’inquietudine dello stare al mondo, la rincorsa disperata della giovinezza, il desiderio, viscerale e tenuto debitamente nascosto, di onnipotenza, successo e gloria. In quest’opera di poco meno di centocinquanta pagine sono condensati racconti in prosa e in poesia, polifonici percorsi picareschi che, in un certo senso, vedono incontrarsi indirettamente, anche solo tramite oggetti o sensazioni comuni, personaggi complessi e allucinati. Tutte le creature che vengono descritte e che si descrivono in Io e Bafometto, che siano umani o animali, sono accomunati dal pervasivo anelito di onnipotenza indelebilmente macchiato dalle stesse fredde ombre dell’inquietudine dei quadri dei Metafisici italiani di inizio ‘900.
Per esempio, nella costante ricerca del senso della vita, il Signor Testamarcia, protagonista di uno dei racconti, trentenne che, ogni sera, ubriaco in birreria «salta sul bancone, indossa la maschera del poetastro e attacca a raccontare del giorno in cui realizzò d’essere morto» si trova a tu per tu con Bafometto, cioè il diavolo. A bordo di una coperta di lana arrivano su una Luna ariostea, dove «le favole si fanno vere che sembra di toccarle», si scopre che anche i diavoli sono (o sembrano) mortali e c’è una gigantesca statua della Vergine costruita come un burattino.
Dall’introduzione e dalla cornice del primo racconto si inanellano scritti anche molto diversi gli uni dagli altri, generandosi dai temi del sogno di un’onnipotenza spesso distruttiva, da personaggi «invasati da un irrefrenabile entusiasmo d’amore» e, in generale, da epifanie spesso allucinatorie ed eventi stranianti. Spesso tali personaggi non mancano di seguire le indicazioni di grimori, oracoli e della cabala per perseguire i propri deliri. Tra i racconti più lunghi, intanto, si inseriscono episodi corali alla maniera delle tragedie greche di V secolo a.C., filastrocche assurde e formule magiche.
[Preghiera a Iside]
Tocca a tutti questa sorte,
fame lotta e voluttà.
Oh Regina senza morte!
sbanca al lotto chi apre un pub.
Con Io e Bafometto, Meier ci introduce in un singolare modo di percepire e fare esperienza della lettura, un modo avulso dalla “classica” letteratura a cui siamo stati abituati, riesumando uno stile e un linguaggio che, al contrario, si avvicinano alla letteratura che viene definita “classica” per eccellenza. Per costruire una visione surreale del beffardo e del grottesco delle vita, Meier mescola lo stile e i temi della satira menippea, dei romanzi cavallereschi del ‘500, degli unici romanzi in lingua latina a noi pervenuti, Le Metamorfosi di Apuleio e il Satyricon di Petronio, del Faust di Goethe e del Barone di Münchhausen, non mancando di citare alcuni tra i filosofi greci.
Così il Dottor Budino di Riso, seguendo i dettami di un libro trovato in un mercatino dell’usato nell’afa di una mattina dell’agosto 2020, un libro dal titolo evocativo di Verità-La via per realizzare i propri sogni d’onnipotenza, si vota «alla Iside Regina» e prepara una pozione che dovrebbe fargli ottenere il successo. Appare invece un asino dalle maniere non solo da essere umano, ma persino aristocratiche, un asino che promette di avere capacità da alchimista e che gli dona la capacità di creare l’elisir di eterna giovinezza. L’episodio narrato in questo racconto sembra prendere ispirazione dal motivo delle Metamorfosi di Apuleio, alternativamente chiamato L’asino d’oro, in cui un uomo di nome Lucio inizialmente viene trasformato da un incantesimo in un asino senziente e razionale quanto un umano e poi, alla fine del romanzo, dopo essere magicamente tornato uomo, prende parte all’iniziazione ai misteri di Iside.
In questo modo, quasi tutti i racconti raccolti in Io e Bafometto affondano le radici, anche solo parzialmente, in motivi, generi letterari e testi veri e propri della letteratura e del pensiero occidentale, illuminando intrecci già noti nell’oscurità di un mondo di maschere e ombre. In un gioco dal gusto postmoderno ingaggiato dall’autore, il lettore viene portato a cogliere gli innumerevoli riferimenti ad una cultura millenaria che rimescola le storie e ne fa una metamorfosi continua, decostruendo e riproponendo all’infinito materiale noto riproposto in modo diverso.
In uno stile linguistico a tratti alto, a tratti colloquiale, a tratti volgare e priapeo come nel testo petroniano e nella commedia attica, Meier intesse una narrazione erudita con citazioni e allusioni dotte, arrivando a giocare con la lingua e a imitare la traduzione letteraria scolastica dei testi classici e la forma in cui si trovano i manoscritti oggetto di studio filologico, creando testi con lacune e cruces desperationis e lasciando a chi legge il compito di districarsi da questo vortice onirico e allucinatorio.
Eleonora Mander