Il buio non fa paura, Pier Lorenzo Pisano
(NNE, 2021)
La prima volta che ho letto il nome di Pier Lorenzo Pisano è stato sul catalogo di un festival di cortometraggi, il Ca’ Foscari Short Film Festival. La sua opera, Così in terra, partecipava al concorso internazionale insieme ad altri ventinove corti. Mi aveva colpito la delicatezza della narrazione, ambientata in un paesino italiano sconvolto da un terremoto. Solo recentemente ho scoperto che quel corto ha girato numerosi festival nazionali e internazionali, Cannes compreso.
Anche per questo mi sono approcciata al suo romanzo d’esordio, Il buio non fa paura, con ottimismo e fiducia. Riconosco una parte della responsabilità anche alla collana Gli Innocenti della NNE, dedicata alla scoperta di autori nostrani emergenti, che fino a oggi ha sempre proposto titoli interessanti. Inoltre, Il buio non fa paura è stato selezionato tra i finalisti del Premio Calvino 2020, alzando definitivamente le aspettative per un romanzo che, almeno per quanto traspare dalla trama della quarta di copertina, non dovrebbe rispecchiare appieno le mie preferenze di lettrice.
Eppure, è difficile rimanere delusi da Il buio non fa paura. Se non per la delicatezza della storia, quantomeno per la voce autoriale, declinata in uno stile fatto di frasi più o meno lunghe legate da congiunzioni frenetiche, che rendono la lettura una corsa in cui al lettore non rimane tempo per prendere fiato. Le frasi si allungano ulteriormente nei momenti di maggiore tensione e si accorciano quando vogliono essere incisive, guidando il ritmo della narrazione.
«E tutti quella sera tornano a casa con la pelle d’oca, senza sapere perché, e controllano di aver chiuso la porta, e che i loro piccoli siano al sicuro, e tutti aspettano un momento in più per spegnere la luce, anche papà, che crolla sulla sedia mentre la pioggia si fa sempre più intensa, mentre il mondo di fuori si fa sempre più minaccioso, e riempie il vuoto della casa al posto suo.»
D’altro canto, lo stile frenetico vitalizza una trama che altrimenti rischierebbe di cadere in atmosfere o troppo oniriche o troppo infantili. Il protagonista, Gabriele, è un bambino che vive una felice vita famigliare in un paesino isolato tra le montagne, in compagnia dei genitori e dei suoi due fratelli: Giulio, il più grande, e Matteo, il più piccolo. Una sera, sua madre si allontana nel buio, verso la stalla, per andare a prendere al piccolo Gabriele una tazza di latta di capra. La donna però non fa più ritorno, lasciando un vuoto nella vita dei figli e del loro padre.
Parallelamente alla sua scomparsa cominciano ad accadere alcune stranezze nel paesino, a partire dalla morte di numerosi animali selvatici. Si aggira voce che un orribile mostro viva nel bosco. Rovesciando gli stilemi della favola tradizionale, a cui il romanzo di Pisano fa chiaro riferimento, Gabriele scopre che il mostro non ha ucciso sua madre, come si vocifera in paese: il mostro è sua madre. Una creatura fatta di buio che continua ad amare e proteggere i suoi figli.
Oltre alla trama in sé, sono numerosi gli elementi de Il buio non fa paura che richiamano in vari modi le atmosfere di una favola nera. I personaggi, per esempio, sono ben inquadrati nel loro ruolo, talvolta con il rischio di sacrificare le occasioni di approfondirne la personalità. Matteo, in quanto “piccolo” di casa, è il fratellino che si fa guidare dagli altri, mentre Giulio, sul far dell’adolescenza, vive quel momento di passaggio come unico elemento identitario forte. I genitori a loro volta sono chiamati solo “madre” e “padre”, e se lei scompare troppo presto per andare oltre il suo ruolo genitoriale, lui comincia ad avere una personalità più definita solo verso il finale. Infine, Gabriele viene raccontato a sua volta nel ruolo di bambino e di figlio, forza motrice della storia pur senza brillare per una personalità carismatica.
La prevedibilità dei personaggi non vuole essere una critica al valore del romanzo: il suo fascino nasce proprio da questo dialogo continuo con gli elementi della favola, spezzato dallo stile maturo e dalla sovrapposizione tra la figura dell’antagonista e quella della madre. Persino i paesani si trasformano nella folla vendicativa dei racconti, che si avvia armata nel bosco per combattere la creatura mostruosa. In questo caso marciano con i fucili puntanti e non con le forche, ma trasmettendo la stessa immagine di una massa compatta e acritica, che non si fermerà nemmeno davanti all’evidenza che i mostri non esistono.
Se tutte le favole terminano con una morale, Il buio non fa paura ne è l’eccezione. L’elemento fantastico alla fine ha la meglio, ma il messaggio, se c’è, deve essere interpretato. Quello che rimane è il fascino di un buio che non spaventa ma accoglie, in una prospettiva unica che rende finalmente la luce, agli occhi del bambino protagonista, il vero male.
Anja Boato