La caduta del re, Johannes V. Jensen
(Carbonio Editore, 2021 – Trad. Bruno Berni)
Per la prima volta tradotto in italiano, questo romanzo del premio Nobel Johannes V. Jensen è stato spesso acclamato come il migliore del Novecento danese. Jensen è stato un autore molto prolifico capace di destreggiarsi con maestria fra vari generi, dalla poesia ai racconti a saggi e traduzioni; questa abilità si riflette ne La caduta del re, il cui genere si incasella a fatica e necessita di una certa flessibilità definitoria.
A primo impatto tema e ambientazione fanno pensare, non incorrettamente, al romanzo storico; i fatti narrati si svolgono tra Svezia e Danimarca, in un periodo di tempo che va dalla fine del quindicesimo alla prima metà del sedicesimo secolo. Un’età densa per la Scandinavia, che vede il formarsi e poi scomporsi della Unione di Kalmar* in un susseguirsi turbinante di rivolte, guerre, rivolte, inframmezzate da episodica normalità di studenti di latino che gozzovigliano assieme a mercenari tedeschi e fabbri invecchiati nel ricordo dei sogni alchemici giovanili.
La caduta del re, pur avendo le sue figure principali ben chiare e in evidenza dal principio alla fine della narrazione, si mostra come un’opera corale, in cui lo stesso paesaggio e le genti semi-anonime di sfondo si fanno a tratti personaggi con una propria vitalità e dignità. Ciò che affascina è come Jensen abbia intessuto questo arazzo intricato, fatto di legami di sangue e del caso, fili che ritornano o si smorzano, partendo da una visione molto concreta: quella del servitore che assiste il sovrano Cristiano II in un quadro di Bloch del 1871**. Mi piace pensare che in questa finestra di tela lo scrittore avesse già letto tutto: drammi, vicissitudini, passioni, segreti; quel servitore diventa il suo protagonista, Mikkel Thøgersen.
Attorno a Mikkel si svolge tutto il resto, lui collante dell’impalcatura narrativa, lui che col re del titolo cade, e di questa caduta il romanzo disegna l’impietosa traiettoria. Diversi ma speculari, anche loro l’ironia del destino unisce e divide per poi nuovamente unire, in un movimento ritmico che pregna tutta la vicenda e finisce per coinvolgere nell’inciampo un Regno intero e i suoi ignari abitanti. Un sapore vagamente nichilista s’insinua nella trama, accompagnato a una riflessione sul rapporto fra i vivi e i morti raccontato talvolta in toni estremamente vividi.
«Tutti i rigogliosi, crudi colori del Levante; giallo come la sabbia d’Egitto, turchese come il cielo sopra l’Eufrate e il Tigri; tutti i colori sfacciati dell’Oriente e dell’India fiorivano sulla neve sotto il lurido coltello dello squartatore.» (p.43)
Alcune caratteristiche strutturali e tematiche sembrerebbero suggerire un dialogo de La caduta del re con un filone ben più antico e, nello specifico, con un testo miliare nella storia della letteratura danese, benché scritto in latino: i Gesta Danorum di Sassone Grammatico (sec. XII), un’opera raffinata che si pone in comunicazione e competizione con la tradizione latina classica, tardoantica e medievale. Anch’essa prosimetro, anch’essa costruita su una rete di antinomie e simmetrie, tema storico ma con ambizioni epico-liriche ed etiche, ritratto celebrativo di un Regno che sgomita per affermare una sua legittima posizione sullo scacchiere europeo – Regno del quale, al contrario, Jensen mostra l’incipiente decadenza successiva a un periodo di aurea fortuna, delineando impietosamente l‘immobilismo del suo carattere ‘nazionale’.
Suggestioni simboliste, naturaliste, esistenzialiste, convergono in quest’opera che confonde il romanzo storico e i versi, il mito e l’anti-epica, la prosa lirica e la poesia in prosa. Tra antiche ballate popolari (folkeviser) e riprese da poemetti norreni, la narrazione si avvale occasionalmente di flashback e storie ad incastro, l’una dentro l’altra come delle matrioske. Come il romanzo combina tradizione e modernità, anche l’uso della lingua è trasformista, antico e innovativo, molto elegante e piacevole nella resa di Berni. Con tutto ciò il testo rimane delicato, quasi una fiaba molto lunga, cruenta e priva della promessa di un lieto fine come le fiabe vere – non la versione edulcorata cui ci abituano i film d’animazione – sanno essere.
Alessia Angelini
* i tre regni scandinavi di Danimarca, Svezia e Norvegia radunati sotto un’unica corona.
** “Cristiano II di Danimarca (1481-1559), imprigionato nella torre del Castello di Sønderborg”