Trovate Ortensia!, Paolo Zanotti
(Ponte alle Grazie, 2021)
«Beh, come dire… Ci sono più cose in cielo e in terra di quante non ne acchiappi la nostra filosofia, sicché mentre su Pisa calavano le prime ore della sera, gli instancabili folletti della messinscena scattavano su come molle per andare al lavoro. È a questi invisibili spiritelli – capite – che si devono le differenze di atmosfera e luce nella stessa giornata e nella stessa città, le suggestioni e le corrispondenze – tutto quanto pertiene, insomma, alla fallacia patetica».
Si apre finalmente il sipario sul corposo romanzo corale Trovate Ortensia!, scritto vent’anni fa da Paolo Zanotti ma arrivato in libreria solo di recente per merito di Ponte alle Grazie. In quest’opera originalissima, Zanotti ha condensato tutto il suo amore per il teatro, oltre che le sue notevoli doti stilistiche e la sua ironia.
Ci troviamo a Pisa, negli anni ‘90. L’atmosfera è quella genuina e scanzonata tipica di questo decennio, e i protagonisti sono un gruppo di giovani ragazzi, con i classici problemi di ogni giorno; tra tutti, spicca Florian, «un uomo del teatro», come recita il Dramatis Personae che introduce il romanzo. Impulsivo e forse un po’ canaglia, ma sotto sotto di buon cuore, Florian è fidanzato con Emilia – ragazza emblema di una femminilità premurosa e materna – ma il loro amore è ostacolato dalla rivalità dei rispettivi padri.
Il dramma amoroso – rappresentato come una vera e propria commedia teatrale – è però solo la punta dell’iceberg di una lunga e variegata serie di intrecci, che si dispiega in un vivace rumore di fondo: Luca («ingegnoso amico di Florian») si barcamena tra Francesca (la sua ex, «in sospensione criogenica», modo elegante per dire che sono in pausa di riflessione) e Giulietta («più maneggevole donna di Luca»); l’apprendista poeta Giacomo prova ad amare Zughy («la straniera desiderabile»), ma alla fine non ci riesce perché lui è senz’anima, e nessuno capisce mai cosa pensa (per citare indirettamente la stessa Zughy); Simone, detto Omobono, inguaribile seduttore, da carnefice diventa vittima, scoprendo a sue spese che non tutte le donne sono innocue; Tancredi («invadente e vagabondo gatto di Florian») declama versi poetici e dispensa consigli arguti al suo padrone – rigorosamente en française –, saltando sui tetti e facendo visita di tanto in tanto al mondo dell’aldilà.
E in questa atmosfera dai contorni shakespeariani, si intravede infine la figura spettrale e misteriosa di Ortensia. Il primo a notarla è proprio Florian, un giorno in cui una foto della ragazza cade “casualmente” ai suoi piedi da una finestra. Da quel momento in poi, Ortensia farà la sua apparizione in maniera sempre più frequente, diventando un vero e proprio enigma per i ragazzi di Pisa. La sua bellezza d’altri tempi incanta tutti, ma nessuno riesce a capire chi sia veramente e da dove venga. Lei stessa non sembra avere alcun ricordo della sua vita passata, come se fosse stata scaraventata nel mondo di punto in bianco, e mano a mano che il romanzo va avanti la trama assume delle tinte sempre più soprannaturali.
Strane figure fanno la loro comparsa, come perversi folletti che sembrano voler adescare e corrompere gli abitanti del «mondo sublunare». Per farla breve, da quando Ortensia è in città accadono cose strane: il passato non è più passato e gli spiriti sembrano non voler rimanere al loro posto.
Il tutto è tenuto insieme da una forma che prende molto in prestito da quella teatrale, a cominciare dalle interazioni tra i personaggi, che sono a volte impostate come dei veri e propri dialoghi di scena. Un esempio è quello del botta e risposta tra Ludovico («vecchio padre di Emilia») e Oreste («vecchio padre di Florian») che si svolge proprio come se i due stessero parlando su un palcoscenico. Ogni azione dei personaggi è sempre introdotta da un dettaglio, una precisazione, che ci dà esattamente la coscienza visiva di quello che sta accadendo, tanto che si ha veramente l’impressione di assistere ad un dramma, piuttosto che di leggere un romanzo.
Oltre ai dialoghi, i personaggi fanno sentire la propria voce anche tramite dei monologhi, che richiamano appunto anch’essi lo stile teatrale, e in cui la scrittura di Zanotti raggiunge il picco del lirismo. Uno dei tanti esempi è il discorso di Emilia, che – rinchiusa dal padre nella sua stanza, come una moderna Raperonzolo – si appella agli astri:
«Voi stelle. Ditemi: che cosa devo fare di questa fessura negli scuri inchiavardati della mia prigione? È anche troppo poco per calarci una treccia, forse neanche una ciocca. Forse niente. […] Se solo arrivasse, se solo sentissi uno scalpiccìo dalla strada, una canzone dalla luna, una vibrazione dalle pietre, se solo. Mi slancerei contro gli scuri fonderei i chiodi darei una cometa mi straccerei le vesti scenderei per strada sfregandomi tutta contro il muro. Tutta. E chissà cosa resterebbe di me» (p. 87)
Non è un caso che la ragazza si rivolga proprio alle stelle. Ogni cosa nelle parole dei personaggi è infatti intriso di simbolismo, e il richiamo agli elementi astrali della natura è sicuramente uno dei più ricorrenti nel romanzo.
Come detto, l’utilizzo di dialoghi e monologhi di questo genere rivela la passione di Zanotti per il teatro – il Sant’Andrea di Pisa è tra l’altro lo scenario in cui avvengono diversi avvenimenti importanti del romanzo.
Ma non è solo la forma a richiamare le commedie e i drammi di Shakespeare, perché nella sostanza Trovate Ortensia! riscrive e rielabora Il racconto d’inverno, come ci lascia intendere fin da subito anche il relativo esergo a inizio romanzo («Coraggio: tu t’imbatti in cose che muoiono, io in cose appena nate»). Quest’opera in particolare ha al suo centro il tema della ciclicità del tempo e dei desideri umani – tema che riecheggia nelle vicende dei protagonisti e che è caratteristico in particolare degli alti e bassi amorosi, di cui il libro è punteggiato – ma la vera corrispondenza tra la tragicommedia shakespeariana e l’opera di Zanotti sta proprio nella trama e nella risoluzione finale, che – senza commettere spoiler – svelerà infine la vera natura di Ortensia.
Non bisogna però credere che Trovate Ortensia! sia unicamente questo: un’efficacissima ironia scorre continuamente sotto la prosa poetica di Zanotti, soprattutto grazie all’uso del dialetto pisano. La commistione tra alto e basso, tra versi in rima ed espressioni gergali, crea un effetto piacevole e unico nel suo genere.
Così, la tragicommedia di questo mondo sublunare in cui viviamo si dispiega velocissima sotto i nostri occhi, e il segreto della bella Ortensia è solo il pretesto per raccontare i misteri della nostra stessa vita, soprattutto quello del “trionfo del tempo”. Se è vero infatti che la natura si rinnova continuamente, «l’uomo non rimane giovane tutte le primavere», e cercare di far rivivere ciò che è ormai perduto può portare conseguenze anche oscure e inaspettate. La possibilità di vincere sul tempo emerge però come piccola speranza nella parte finale del romanzo: il passato non è morto, ma scorre continuamente accanto a noi, come i ricordi («È come se i ricordi corressero su strade che ogni tanto attraversano il nostro mondo, e, attraversandolo non vedono il palazzo nuovo sul vecchio prato. Ma restano sempre, da qualche parte, questo sì, e questo è ciò che importa» p. 450).
Ecco allora che Trovate Ortensia! diventa una dedica appassionata alla giovinezza, che proprio come Ortensia è inafferrabile e bellissima, ma anche inquietante e corruttibile. Con questo romanzo, Paolo Zanotti riesce quindi ad evocare gli spettri del nostro passato, lasciandoci la sensazione di averci letto nel profondo dell’anima. D’altra parte, come dice uno dei suoi eccentrici personaggi, «perché gli spettri ti possiedano non c’è bisogno di una casa (…). La mente ha corridoi che vanno oltre lo spazio materiale».
Francesca Rossi
Immagine in evidenza: La primavera – Opera di Sandro Botticelli