“Il grande vuoto”, un antidoto alla metropoli

Il grande vuoto, Léa Murawiec
(Comicon Edizioni, 2022)

Léa Murawiec è una giovane fumettista francese classe ’94, conosciuta prima nel mondo delle fanzine e poi nel più ampio panorama fumettistico europeo grazie al chiacchierato esordio nel 2021 con Le grand vide (Éditions 2024). Nel giro di un anno, Murawiec conquista il premio Miglior libro dell’anno dalla redazione di ActuaBD, viene inclusa nella selezione finalista del Grand Prix di Angoulême 2022, dove vince il Premio del pubblico France Télévision, porta a casa il Bologna Ragazzi Award nella sezione Young Adult, fino ad arrivare nelle librerie italiane in un’edizione curata da Comicon e presentata in anteprima al Lucca Comics and Games.

L’imponente volume attira l’attenzione con la sua copertina in prospettiva – una figura tondeggiante osserva lo spettatore dall’alto di una metropoli stilizzata. Fatta eccezione per la prefazione del fumettista nostrano Manuele Fior, non ci sono paratesti utili a inquadrare né la trama né l’autrice. Il lettore può essere guidato all’acquisto solo dall’istinto – o, si spera, da recensioni come quella che state leggendo.

Una tavola alla volta, Il grande vuoto accompagna lo sguardo in una luminosa metropoli, seguendo i passi di una scorbutica e poco socievole Manel Naher. Il mondo che la circonda, il caos della città, è caratterizzato da un elemento squisitamente assurdo: per sopravvivere è necessario esistere nei pensieri degli altri, letteralmente. La fama equivale all’immortalità, l’isolamento alla morte. Eppure, là fuori può esserci qualcosa di diverso, un mondo altro che tutti conoscono ma che nessuno ha mai avuto modo di raccontare: il Grande Vuoto.

Un giorno, Manel Naher scopre di avere un’omonima, diventata improvvisamente famosa come cantante. Il suo nome viene quindi associato in automatico a un’altra persona, e Manel inizia a perdere “presenza” nei pensieri degli altri. La presenza è un valore metaforico ibrido tra il denaro e la salute, possederne vuol dire essere vivi e in forze, ma in fondo, come insegnano gli amici di Manel, la presenza «non è tutto», non compra la felicità. Esistere non vuol dire vivere.

A dispetto del titolo, Il grande vuoto è un fumetto denso di forme geometriche e curve tondeggianti, un susseguirsi di tavole piene, volte a rendere graficamente il senso soffocante della metropoli, il bisogno di esistere agli occhi degli altri. Si alternano tre colori dai toni opachi, il bianco, il rosso e il blu, per riempire le superficie vuote della metropoli, guidare lo sguardo del lettore in una città tronfia e ipercinetica. La densità delle vignette si contrappone all’ariosità della narrazione, che prosegue invece a ritmo cadenzato, senza fretta, equilibrando la frenesia del mondo dipinto da Murawiec con uno stile narrativo più posato. Insomma, uno strappo a quella tendenza tutta francese di dare corpo a tavole dense di dialoghi e vignette, che in qualche modo tradisce un certo richiamo al fumetto asiatico – non può essere un caso il periodo che l’autrice ha trascorro a Shanghai negli anni di studio – e che ci ricorda anche lo stile di qualche autore italiano, dalle tavole straripanti di Jacovitti ai più moderni disegni di Paolo Bacilieri.

Le figure umane sono stilizzate e sproporzionate, la struttura narrativa solida si interseca con alcuni passaggi comici dall’aria vagamente vintage, uno slapstick moderno che si perde solo quando, con il proseguire della narrazione, la parabola di Manel Naher smette di fare tenerezza e diventa una più acuta critica alla superficialità e alla ricchezza fine a se stessa.

Il percorso di Manel subisce un improvviso turning point verso la seconda metà del fumetto, che poteva essere certamente reso in modo più fluido (lavorando sulla sceneggiatura) o più netto (lavorando sul comparto grafico per sottolineare visivamente il passaggio), e che invece impone una scomoda accelerata alla trama, pur rimanendo ugualmente comprensibile e coerente con le dinamiche messe in scena nella prima parte dell’opera. Questo cambiamento narrativo corrisponde anche a un più generico cambiamento nei toni, d’un tratto attraversati da un’aura di serietà legata al percorso travagliato della protagonista.

Manel Naher si presenta fin da subito come una persona egocentrica e testarda, ma che nel suo essere poco socievole, buffa e scontrosa alla fine riesce comunque a farsi apprezzare dai conoscenti più stretti e dai lettori più pazienti. Il suo viaggio non l’aiuta a migliorarsi, al contrario: la Manel delle ultime tavole è ugualmente egocentrica e testarda, ma senza voler più far sorridere il lettore. Il senso de Il grande vuoto risiede proprio in questa seconda parte dell’opera, nel messaggio improvvisamente serio della corsa alla “presenza” (al denaro, alla fama, alla vita) e dei sacrifici che comporta.

Léa Murawiec firma così un esordio inaspettato, dimostrando di essere un’autrice completa in grado di coniugare un tratto grafico raffinato con una narrazione solida e ricca, in cui le vignette a tratti si smembrano e i personaggi si deformano per assecondare il mood, un po’ comico e un po’ tragico, della vita di Manel Naher.

Anja Boato

2 Comments

  1. Interessante l’uso dei colori della cittadinanza parigina e quindi della bandiera francese, come interessante che spicchino le altezze, lo sguardo, le antenne paraboliche e le insegne dei vari locali e aziende. In effetti se la copertina aveva l’obiettivo di colpire, con me ci è riuscita. Approfondendo nel testo, anche. Che dire, grazie della segnalazione.

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    1. Grazie a te per la lettura e per la giusta riflessione sulla tricomia e la bandiera francese, a cui non avevo pensato. Rispondo lanciando un altro spunto tratto da un’intervista alla stessa Léa Murawiec: rosso e blu sono anche i colori più usati nelle pubblicità.

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