Fantasmi di Famiglia è il romanzo d’esordio di Maisy Card, giamaicana nata a Portmore ma cresciuta nel Queens, a New York, e ora di casa a Newark. Quanto riportato sulla terza di copertina, seppur nello stile asciutto e sintetico di una breve nota biografica, suggerisce – quanto e più di una sinossi – il contenuto del libro: mescolanza, nomadismo, frammentarietà; la ricerca di una storia identitaria che passa attraverso un raddoppiamento che non sana né ristora, ma frattura ulteriormente.
L’opera prima di Card si apre con la morte di Abel Paisley, la sua vera morte: perché l’uomo, che ha trascorso gli ultimi vent’anni di vita in un brownstone a Harlem, è già morto una volta, nel 1970. Approfittando di un incidente sul lavoro che aveva causato la prematura dipartita del suo collega Stanford Solomon (e del razzismo inglese incapace di distinguere un nero dall’altro), Abel si era allontanato da una moglie, Vera, infelice e frustrata, che ne attendeva il ritorno in Giamaica con i due figli nati da poco, e da una vita che non riusciva a comprendere appieno. Una vita violenta, passata a inseguire o a essere inseguiti: da un desiderio di bianchezza, dall’ambizione di una vita migliore, dalla corruzione, dall’umiliazione. Da un fantasma.
E così, come Abel è inseguito dallo spettro dell’uomo di cui ha usurpato l’identità, i personaggi che lo circondano – per la maggior parte femminili: le figlie, quella che ha lasciato in Giamaica, quella nata dal suo secondo matrimonio, quella illegittima, le due mogli – combattono con gli strascichi di una menzogna che ha confuso e avvelenato le loro vite; acque torbide del fango e del sangue che, miscelati, impastano le radici di un albero genealogico che risale al diciannovesimo secolo.
La storia della famiglia Paisley/Solomon è una storia antica ed è una storia violenta. Nasce con Florence, una schiava della piantagione di zucchero di Harold Fowler, che, stuprata da quest’ultimo o dal sorvegliante scozzese, rimane incinta di una bambina, poi venduta al signor Paisley. I passaggi successivi saranno ricostruiti da Debbie Norgorood, una donna che viene in possesso del diario di Harold Fowler, suo antentato, e che diventerà la moglie di Vincent, figlio di Abel Paisley. Gli incroci sono molti e complessi, tanto che l’autrice appone, all’inizio del romanzo, un albero genealogico.
Albero sdoppiato dall’atto di Abel e moltiplicato dagli incroci e dalle violenze che ne permettono la prosecuzione, dove la consapevolezza della molteplicità identitaria di ciascuno passa attraverso lo smarrimento e il tormento di una pelle che contiene in sè tutte le sfumature, dal bianco al nero e viceversa.
È meglio ricordare o dimenticare? A chi tocca pagare per le violenze perpetrate? Il sangue versato scorre a lungo, le assenze hanno nome, forma e peso e la memoria si ferma sulla soglia di ciò che è razionale.
Fantasmi di famiglia è un romanzo di fantasmi anche cartacei: è composto non solo da più voci narranti (che passano, alternativamente, dalla prima, alla seconda, alla terza persona), ma anche da fonti differenti: estratti di diario, memorie dal carcere, confessioni sotto forma di lettera. Zigzagando nel tempo e nello spazio di una storia fatta di colonialismo, migrazioni, razzismo e violenza, Maisy Card non cerca risposte, ma lascia che siano le domande che lo attraversano a rendere il romanzo vivo, pulsante, elettrico.
La scomodità della lettura, nel suo passaggio continuo di narratori e coordinate e nella traduzione di un patois fatto di neologismi e sgrammaticature, spiazza e confonde il lettore che a volte fatica a seguire le storie. Il rischio, soprattutto nella seconda parte del romanzo, è che alcuni personaggi come Estelle, figlia “statunitense” e tossicodipendente di Abel, Ruthie, la figlia extraconiugale, o il racconto delle vicende di Louise Paisley e Peta-Gay ai tempi della piantagione risultino macchinosi e piatti, cliché di emozioni intense ma mal recitate.
Card, comunque, giocando con la forma e i personaggi, costruisce una saga familiare atipica che restituisce corporeità a storie e fantasmi di traumi familiari e collettivi. La storia di schiavitù e soprusi della dominazione britannica dell’isola si intreccia con la storia intima di infedeltà, tradimenti e rimpianti della famiglia Paisley/Fowler. Fin dove possiamo spingerci a ricordare, fin dove possiamo permetterci di dimenticare: questo è il nodo del romanzo. La risposta, forse, va cercata nel capitolo finale, completamente soprannaturale, in cui prendono vita quattro soucouyants, streghe vampire del folklore caraibico, bambine-mutanti che infestano la cittadina di Harold Town, in qualche modo frutto, anche loro, della colpa originaria di Abel e che per questo non permettono ai suoi abitanti di lasciar andare.
Alessia Maria Sciannamblo
In copertina: Photo by Eilis Garvey on Unsplash