Una breve visita, Andrea Betti
(Wojtek Edizioni, 2022)
Se in questo momento gli alieni arrivassero sulla Terra, che idea si farebbero di noi? Leggendo l’esordio di Andrea Betti Una breve visita, pubblicato da Wojtek Edizioni, la risposta è piuttosto chiara: resterebbero alquanto indifferenti.
Circa a metà del Secolo Acidificato (cioè il XXI secolo) i Cilestrini, entità del tutto simili a uomini vestiti in maniera stravagante, giungono sul nostro pianeta e ne visitano i musei, restando del tutto indifferenti alle nostre opere e alla nostra presenza; si attesta soltanto un senso di stupore leggermente percepibile nei confronti della Pala di Brera di Piero della Francesca. I nuovi arrivati non dicono assolutamente nulla, le uniche azioni che compiono sono ruggire in modo piuttosto inquietante e scomparire dopo solo una settimana.
Dopo questo evento – denominato “la Comparsa” – gli uomini dovranno elaborare il lutto dell’aver realizzato due verità devastanti: non solo l’umanità non è al centro dell’Universo, ma fa anche abbastanza schifo. Da questo momento in poi verrà ripensato persino il sistema di datazione, che avrà come spartiacque il Prima e il Dopo l’arrivo dei Cilestrini, nuovi avanti e dopo Cristo.
L’umanità reagisce alla Comparsa in modi molto diversi: nasce la setta religiosa degli svalutazionisti, gli SVA, che ambiscono all’ “Abrenunzia volontaria”, cioè una forma di rassegnazione collettiva, nonché alla rinuncia a qualsiasi forma di sacro e di senso ulteriore dell’esistenza; altri cadranno nella Panacedia, una depressione endemica che causerà molti morti. L’altra faccia di questa tendenza depressiva saranno invece i violenti RAD, i quali, capeggiati dall’ex no global Hieronymus, distruggono le opere d’arte e qualsiasi simbolo di civiltà, attuando un processo di de-umanizzazione che comporta l’oblio e la perdita del linguaggio.
Tutto questo viene raccontato quattrocento anni nel Dopo da un monaco dell’Ordine dei Kibernetes, i quali si occupano di ricostruire la storia umana da fonti sonore. Egli trascrive le registrazioni delle voci di personaggi come Guinevere, il cui fratello Marcus è entrato in una forma di assoluta catatonia chiamata ARS[1], oppure dello scienziato Amirani, una sorta di illuminista che sta cercando di salvare la memoria dell’umanità dalla furia RAD, trasportando in Antartide il patrimonio artistico umano a bordo del sottomarino Coriolano.
Il narratore è una specie di “archeologo sonoro” che ricostruisce una storia piena di buchi e non sempre è in grado di spiegarsi tutto ciò che sente. Una breve visita è un mosaico fatto di moltissimi tasselli di un’immagine caotica che chi legge ricostruisce pagina per pagina. La visione d’insieme non è però mai guadagnabile del tutto a causa di un narratore tutt’altro che onnisciente: il testo produce così un attrito, per cui il lettore non è passivo ma deve compiere uno sforzo di ricostruzione parallela a quella del monaco.
Con il suo romanzo Betti crea un mondo, uno spazio vero e proprio in cui ci si perde e ci si ritrova come in un gioco dell’oca cosmico. Nonostante le coordinate temporali sempre presenti all’inizio di ogni breve capitolo, nel libro la dimensione temporale viene annullata. L’inconsistenza della nozione di tempo viene più volte ribadita dai personaggi, con frasi del tipo: ‹‹Il tempo? Un atto di fede nel solo dato significativo nella luce visibile.››[2] oppure ‹‹Il tempo è lo spazio dove sei.››[3].
Questo spazio caotico assomiglia ad un’opera di Bosch (non a caso omonimo del capo RAD), piena di dettagli infinitesimali sui quali ciascuno esercita il proprio sguardo. Il testo è ricco di citazioni che ci si diverte a scovare a seconda della propria sensibilità: personalmente, da fan di Franco Battiato ho potuto trovare ad esempio due gustose citazioni del Maestro, la cui estetica psichedelica non era poi così lontana da quella di Betti.
Non sarebbe difficile rintracciare nel libro di Betti un’analisi metaforica della contemporaneità. Una breve visita racconta di un’umanità in crisi: in fondo, i RAD non sono così diversi da coloro che negano la fondatezza della scienza, ma anche dai paladini della cancel culture; le vittime della Panacedia non sono che delle specie di hikikomori che hanno perduto qualsiasi curiosità nei confronti del mondo, mentre gli Elitel, intellettuali che cercano di conservare la propria egemonia culturale, appaiono molto simili a quelli che chiamiamo radical chic. Per non parlare poi dei Galleristi snob che dialogano in alcuni capitoli e che sono una chiara rappresentazione della vacuità del mondo dell’arte contemporanea.
Sebbene questa lettura del romanzo sia calzante, essa in realtà depotenzia il valore dell’opera, che in fondo è un gioco, un divertissement della fantasia che ci immerge in un’esperienza stratificata di registri e lingue e nella quale si trovano parole che ad un primo impatto sembrerebbero inventate, ma che invece appartengono alla schiera di quei termini dimenticati nel dizionario: in Una breve visita qualcosa non è pericolante ma “periclitante”, non si mangia ma si “manduca” e una setta non è millenaristica ma “chiliastica”.
Questo lavoro di archeologia della lingua rende Betti un erede di Landolfi, Manganelli e Gadda, ovvero quella cerchia di scrittori eternamente inattuali, per i quali la letteratura non è soltanto qualcosa con cui dobbiamo comunicare qualcos’altro, ma è soprattutto un gioco attraverso cui la lingua viene rotta e reinventata. Essi sono come il bambino che rompe il suo giocattolo per scoprirne una funzione nuova e prima impensabile. La lingua, più che qualcosa in cui ci possiamo identificare, diviene così un’alterità sconosciuta da scoprire, cioè il vero e unico alieno.
Giacomo De Rinaldis
[1] Abnormal resignation syndrome
[2] p. 21.
[3] p. 56
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