Claudia Grande, Bim Bum Bam Ketamina
(Il Saggiatore, 2023)
Non distopico, non remoto, e forse nemmeno così esagerato: l’universo caleidoscopico di Bim Bum Bam Ketamina fa paura perché è molto, molto vicino a noi. Roberto, ex studente di filosofia, disoccupato e disilluso a tempo pieno, ci conduce attraverso questo fiera del grottesco. Ad avviare la macchina tragicomica è la decisione di Roberto di tappezzare la città con dei volantini in cui si mette in affitto: per ogni mestiere che faccio, divento una persona diversa. Se hai piccole necessità, non costo caro.
Da quando il primo volantino passa di mano in mano fino ad arrivare tra le dita anoressiche di una popolare influencer bionda e bellissima, Roberto viene risucchiato nella dimensione psichedelica dell’entertainment: attraversa con curiosità maligna e perplessità crescente il mondo delle stelle dei social, del cinema, dei giochi televisivi a premi – ma anche il carcere, strane sedute di psicoterapia robotica, cliniche sperdute in cui si creano illusioni. Tutti gli aspetti più paradossali della società delle apparenze gli scorrono davanti agli occhi come l’interminabile allucinazione di un malato; così come malata è l’immagine che di questa società ci viene trasmessa.
Nel mondo di Bim Bum Bam Ketamina tutto ruota intorno all’immagine, a quello che il corpo può sembrare. Ma niente è davvero dotato di concretezza: è un corpo che non ha importanza. Non conta perciò che questo corpo venga messo in affitto, come fa lo stesso Roberto con il suo tempo e la sua (ridotta) capacità fisica; non conta che venga gonfiato di silicone, elettrificato dalla cocaina o mutilato con un attrezzo da cucina per qualche visualizzazione in più su Instagram. Ci sono soltanto apparenze circondate da sciami di cervelli ipertrofici che riflettono – ma riflettono solo su quello che vedono, spalmandolo di nuovo sulle superfici senza mai guardare a fondo. È una società piena di suoni e stimoli, affollata di occhi, di voci, di mani, di orecchie; eppure in una certa misura è passiva, perché condannata a un’involuzione inesorabile che non le permette di rendersi conto della sua stessa necrosi.
Siamo tanti, buffi brandelli di carne, ho pensato.
Coriandoli costretti a danzare nella luce straniante del tramonto.1
Questo romanzo non mira a una pars construens che ponga un freno al decadimento di questa realtà. Bim Bum Bam Ketamina invita a sedersi sul bordo di una pozza di violenza e isteria che viaggia verso l’ebollizione, immergendosi pian piano fino a entrarci del tutto, per godersi la sua esplosione dall’interno. È la consapevolezza di un destino di distruzione a rendere gli scenari grotteschi ancora più evocativi: questo mondo descritto da Grande galoppa così decisamente verso la sua stessa morte che è impossibile fermarlo.
La scrittura di Claudia Grande ha il merito di essere pulita, incisiva nella maniera in cui è necessario che lo sia nel raccontare una storia come questa. L’identità di Roberto, che parla in prima persona, ne risulta bene definita, restando al contempo sufficientemente grigia da permettere al lettore di dar corpo all’immagine patetica di un uomo che si trova invischiato in un mondo che sembra rigettarlo. La lingua di Bim Bum Bam Ketamina è dura e caustica, solida ma scorrevole, descrittiva ma sintetica. Non si tratta di un esercizio innovativo di stile, ma è un ottimo involucro per contenere la psichedelia del mondo di Claudia Grande.
Lo stesso vale per la specificità dello sguardo di Roberto: carico di una crudeltà che ben si accorda alla ferocia di un mondo del genere, e per molti versi è anche uno sguardo estremamente intellettuale. Questo fa sì che il costante filtro che Roberto impone alla realtà assurda che lo circonda diventi articolato, e raffinato pure nella sua essenza grottesca, ma allo stesso tempo ha anche l’effetto di rendere un po’ più prevedibili gli sviluppi di quella stessa realtà.
Io non voglio parlare d’amore.
Io vorrei che parlassimo d’odio.
Odiamo noi stessi, odiamo la carne, detestiamo questo corpo che si sfalda. Schifiamo la morte, l’irreversibile; non sopportiamo di guardarci invecchiare. L’imperfezione è una condanna maggiore di qualunque altra cosa potrebbe accaderci.2
Il libro di Grande funzionerebbe perfettamente, insomma, come riassunto di certe tendenze perverse e maggioritarie che ha assunto quello che chiamiamo intrattenimento. È efficace nella sua frammentarietà che però resta coerente, nella sua incisività di linguaggio, nelle sue descrizioni minuziose ma leggere; non se ne esce avendo imparato qualcosa di nuovo, ma piuttosto con la consapevolezza che una fotografia molto precisa è stata scattata; e che in questa fotografia, volenti o nolenti, potremmo scoprire di far capolino anche noi.
Emma Cori
1 Bim Bum Bam Ketamina, p. 69.
2 Bim Bum Bam Ketamina, p. 237-8.