Uscire dalla Famiglia per cominciare a vivere

La famiglia, Sara Mesa
(La Nuova Frontiera, 2024 – trad. Elisa Tramontin)

Un tratto comune ai romanzi della scrittrice spagnola Sara Mesa è l’evocare con titoli semplici immagini rassicuranti, di cui non si ritrova traccia, però, nel contenuto dell’opera. Era così per Un amore (La Nuova Frontiera, 2022) e non fa eccezione La famiglia, nelle librerie italiane per La Nuova Frontiera da qualche settimana nella traduzione di Elisa Tramontin.

In questo caso l’autrice sceglie l’articolo determinativo, quasi ad indicare che la sua opera non sta descrivendo una famiglia specifica, a caso, ma l’intera istituzione. Sulle prime, quella di Sara Mesa sembra una provocazione: la famiglia protagonista del romanzo è invece decisamente peculiare e sulle prime non è facile identificarsi con i suoi membri. Sotto lo sguardo severo di Padre e quello sbiadito di Madre, quattro figli crescono secondo una routine apparentemente perfetta. Nella loro casa “non ci sono segreti”, come viene annunciato fieramente da Padre nel primo capitolo dell’opera. Questo vuol dire che tutti i membri della famiglia possono sentirsi liberi di comunicare i propri desideri ed emozioni – ma anche che tutti i loro desideri e tutte le loro emozioni saranno vagliati e giudicati dallo sguardo paterno.

I desideri e le aspettative di Padre modellano ogni aspetto della vita di Madre e dei quattro figli: in casa non si guarda la televisione, perché Padre la ritiene diseducativa; non si tengono diari privati, perché tutte le emozioni possono essere accolte e discusse in gruppo; non si accettano regali a cuor leggero, perché non esistono passatempi innocenti e anche i giocattoli possono rivelarsi insidiosi e amorali. L’atmosfera asfissiante in cui crescono i quattro figli non è quindi generata dalle proibizioni, ma dall’amore: la consapevolezza che un comportamento fuor dai ranghi intristirà e deluderà Padre e, di riflesso, anche Madre, è una catena molto più difficile da infrangere di quella della pura costrizione.

Lui a quel punto le raccontò quello che era successo con i fumetti. Che suo padre lo aveva obbligato a distruggere buttare via quelli che aveva trovato nello stanzino. Anzi, più che obbligarlo, gliel’aveva chiesto con gentilezza. Era molto complicato gestire quella situazione, disse. Clara non capiva perché non si fosse ribellato, lei si sarebbe rifiutata di obbedire, ma lo vide talmente demoralizzato, talmente fuori combattimento, che annuì senza chiedere niente. (p. 166)

Attraverso l’eccesso quasi grottesco dei suoi personaggi, dunque, Sara Mesa attacca, mettendone in evidenza l’assurdità, i pilastri su cui si sorregge da sempre la famiglia patriarcale: il senso di colpa, l’autorità, la punizione, il rimorso e, più in generale, la pretesa che un legame di sangue generi un diritto sulle altre persone. Per Padre, il legame di sangue, e in particolare il legame tra genitori e figli, è la cifra fondante e imprescindibile di una famiglia: se lui e Madre non avessero figli, dice, sarebbero “soltanto una coppia, due persone senza legami di sangue, sterili e inutili. Per fondare una famiglia serve che nasca un figlio“. Anche Martina, quindi, figlia adottiva arrivata nella Famiglia ormai da preadolescente, deve uniformarsi alle regole se vuole essere accettata: non è ammesso far notare che Padre e Madre non condividono il suo sangue o ricordare la sua famiglia di prima. Per avere un posto nel mondo ordinato e coerente delle famiglie vere deve abbandonare ogni traccia del disordine del suo passato.

Padre è il personaggio che nel romanzo incarna l’autorità e il patriarcato, eppure non ricalca gli stereotipi del maschio tossico a cui potrebbero averci abituati altre rappresentazioni: basso, dimesso, assolutamente non violento e incrollabilmente saldo nelle proprie convinzioni, Padre forse riesce a esercitare la propria autorità con tanta efficacia proprio perché, attraverso le sue crepe, lascia intravedere una debolezza e un’incoerenza di fondo. Davvero è sicuro di sé come lascia credere? Durante il giorno lavora o non lavora in un celebre studio d’avvocato? Forse, lascia intuire Mesa, i figli e la Madre non osano intaccare l’immagine che hanno di Padre perché ne intuiscono la fragilità, vedono quanto sarebbe facile sgretolarlo. E, a quel punto, diventerebbe necessario ripensarlo e ripensarsi.

La storia della Famiglia viene raccontata da Mesa attraverso frammenti e salti temporali: ogni capitolo viene dedicato al punto di vista di un personaggio in diversi periodi della loro vita. Ricostruiamo quindi un bucherellato quadro d’insieme attraverso testimonianze sparse, ma la difficoltà nel seguire il filo della trama non diventa mai un limite dell’opera. Il punto, per l’autrice, non è mai raccontare esattamente cosa è successo ai suoi personaggi, ma come la famiglia in cui sono cresciuti ha influenzato il loro modo di rapportarsi al mondo. Curiosamente, nessuno dei figli replica lo stile di Padre nella propria esperienza del mondo, né sembra considerarlo un modello: il fallimento forse più grande per chi, come lui, ha puntato per tutta la vita ad essere d’ispirazione.

Tutte le esperienze dei figli fuori dalla gabbia dorata della Famiglia che vengono raccontate nel romanzo hanno degli aspetti disturbanti e disallineati rispetto alla realtà: la Famiglia, insomma, sembrerebbe non aver fornito ai figli, nonostante tutti gli sforzi di Padre in tal senso, gli strumenti necessari per muoversi con efficacia nel mondo.

Con una scrittura limpida e diretta, Sara Mesa mette dunque in luce in quest’opera tutti i limiti della Famiglia come istituzione e come ambiente in cui prepararci alla vita: l’unico valore che sopravvive, forse, è la compassione, intesa come una forma di perdono e comprensione per chi passa la vita a ricalcare un modello che non ha avuto possibilità di scegliere.

Loreta Minutilli

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