Il vizio di smettere, Michele Orti Manara
(Racconti Edizioni, 2018)
Un giornalista televisivo che picchia un intervistato in diretta – ovvero un tipo collegato da cavi al cielo;
un’anziana fuori di ragione che attende per strada alle tre di notte una pattuglia che non arriverà;
una coppia incapace di definire il suo rapporto;
un gatto che chiede al suo padrone di fare un punto della loro relazione;
due amici che vivono momenti di inaspettata intimità fino a quando l’altro parte per comprarsi una fazenda in Brasile;
due compagne che devono decidere chi nella coppia dev’essere a partorire;
una ragazza col vizio di smettere…
Questi e molti altri, vari, sono i personaggi – raffigurati in copertina da Francesca Protopapa – che si muovono nei sedici racconti che compongono la raccolta di Michele Orti Manara. Ci aveva parlato di lui il suo editore, Emanuele Giammarco di Racconti, in una recente intervista, e mi è sorta abbastanza curiosità da decidere di leggerlo.
Categorizzare la raccolta è impresa ardua. Ogni racconto ha vita propria e caratteristiche a sé stanti. Passiamo dal predominate realismo all’assurdo, alla falsa biografia, al surreale. Alcune storie sono lente, altre con un ritmo incalzante, o più riflessive, qualcun’altra a tratti ilare oppure persino angosciante.
Eppure, il filo rosso che collega la raccolta c’è, travalica ogni assonanza di genere narrativo, di peculiarità biografica dei protagonisti, di cronotopo che accomuna ciascun evento accaduto.
Per quanto le vite e le vicende di ciascun individuo descritto siano distantissime, differenti, ognuno condivide lo stesso destino, sembra al pari degli altri incedere claudicante nella sua esistenza. Attanagliati dai dubbi, indecisi sul proprio futuro, insoddisfatti della propria condizione, desiderosi di mollare tutto eppure sentirsi in gabbia, senza possibilità di evadere dalla propria vita, quasi che il destino sia una rete dalle maglie strette, nella quale tutti si dibattono come tonni fino a quando si accorgono che non appartiene a loro la liberazione.
Qualcuno riesce a sottrarsi, come Sergio, e riesce davvero a raggiungere la sua meta, ma la sua ingenuità non gli aveva fatto considerare le difficoltà che sarebbero venute, quasi che neppure evadere possa bastare.
Molti di loro sono condannati a un analfabetismo affettivo, senza capacità di sorreggere una relazione, che sia tra genitore e figlio, tra amici, tra partner o anche soltanto tra animale umano e animale non umano. La percepita inadeguatezza serpeggia negli interstizi sentimentali fino a corrompere i rapporti; e il passato a volte torna a galla molesto e sguinzagliando spettri che sarebbero dovuti rimanere nell’ombra.
Ben riassumono questi concetti le parole del protagonista de La missione:
“Non posso decidere di andarmene, sono come un criceto che corre dentro una ruota. Non esiste una via d’uscita, tutto ritorna sempre uguale, non esiste un prima e un dopo, perché è così che deve andare, perché è così che va questo racconto.” (p. 95)
Il lettore de Il vizio di smettere dev’essere consapevole del turbine in cui si cala aprendo le pagine di questa raccolta. Dev’essere in grado di poter accettare il compromesso di essere contaminato egli stesso da sensazioni d’inadeguatezza, di spaesamento, finanche di apprensione e di malessere. È la clausola necessaria per entrare in sintonia con le vite che affollano i racconti di Michele Orti Manara.
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